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Limite al contante: perché l’idea di Salvini è…

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tracciabilità dei pagamenti

Limite al contante: perché l’idea di Salvini è anacronistica e allontana l'Italia dall’Europa

La frase è uscita un po’ a metà: «Fosse per me non porrei nessun limite al contante». Matteo Salvini ha rilanciato così un vecchio tema mai risolto e che spesso divide l'opinione pubblica: quello relativo al cash. Il Ministro dell’Interno ha utilizzato il «fosse per me», quasi a voler sottolineare che questa ipotesi non è nel contratto di governo firmato con il Movimento 5 Stelle. Aspetto ribadito questa mattina da Luigi Di Maio, ai microfoni di Rtl 102,5: «Nel contratto questo punto non c’è, lavoriamo su altri fronti: per esempio quello che vivono tanti commercianti in Italia, nel pagamento elettronico, dobbiamo eliminargli i costi». Ma intanto il sasso nello stagno è stato lanciato.

E ha fatto rumore. Perché è abbastanza chiaro che dietro al contante si nasconda spesso la black economy, la corruzione, l'evasione, il denaro sporco che non vuol essere tracciato.

Difficile prevedere cosa succederà veramente. Quello che sembra abbastanza certo, invece, è che il contante è sempre più una zavorra all'economia italiana e internazionale. E non è un caso che la maggior parte dei Paesi più evoluti abbia sposato da tempo strategie che mirano alle cosiddette cashless society, a un futuro senza cash, dove i pagamenti digitali diventano prassi e le vecchie banconote spariscono. La scelta di Salvini, dunque, dati alla mano, sembra quanto mai anacronistica.

Un danno fiscale da 24 miliardi
Futurismi a parte, anche i numeri odierni vanno in questa direzione. A partire da un costo fisso poco conosciuto, e cioè quello relativo alla gestione e al trasporto del contante, che secondo le stime diramate dall'Osservatorio Mobile Payment & Commerce del Politecnico di Milano, impatta sul sistema Italia per 9,5 miliardi di euro all'anno. Ma se su questo costo è difficile intervenire nell'immediatezza, il vero punto riguarda il mancato gettito fiscale derivante dall'utilizzo del cash, che è pari a 24 miliardi all'anno. L'Osservatorio milanese ha stimato che il 34% del transato in contante non è dichiarato, dunque sfugge al fisco, generando un fiume di denaro sporco che alimenta l'economia malata di questo Paese. Economia malata che arricchisce gli evasori e rende poveri i contribuenti.

Italia legata al contante
E che l'Italia sia legata indissolubilmente al contante lo dicono anche le classifiche europee relative alle transazioni con carte di credito (dunque i pagamenti elettronici). Secondo quelle del Politecnico di Milano siamo al 24esimo posto in Europa su 28, con 220 miliardi di euro transati nel 2017 (205 secondo Banca d'Italia), e poco più di 50 transazioni procapite all'anno. Dietro di noi solo Germania, Grecia, Romania e Bulgaria (anche se la Germania è nota per il frequente utilizzo dell'addebito diretto su conto corrente e i dati sono meno attendibili). Al primo posto la Danimarca con 328 transazioni, poi la Svezia con 317 e la Finlandia con 279. La media europea è di 117,8 transazioni procapite, ben al di sopra della media italiana.

In sostanza, oggi in Italia il 28% dei consumi viene pagato con carta di credito (o pagamenti digitali), mentre la percentuale dei consumi pagati in contanti oscilla fra il 40 e il 50%. Il resto è pagato con bonifici o addebiti diretti. «Il limite al contante – ha detto al Sole 24 Ore Valeria Portale, direttore dell'Osservatorio Mobile Payment & Commerce del Politecnico di Milano - ha subito un'oscillazione nell'ultimo periodo, e questo è il segnale che l'Italia non ha una vera e propria strategia sul cash. Nel resto d'Europa, invece, le cose vanno diversamente. I Paesi che ci precedono nella classifica per pagamenti elettronici hanno intrapreso da tempo un'altra strada, munendosi di misure che aiutano a limitare l'utilizzo del contante e sono rivolte a quelle che vengono definite cashless society. La Svezia, ad esempio, è fra i Paesi in cima alle classifiche per pagamenti elettronici, e questo è dovuto ad azioni governative ad hoc che hanno portato al disincentivo dell'utilizzo del cash». Poi c'è da aggiungere che «nei Paesi dove, anche grazie ai governi, sono stati agevolati i pagamenti elettronici a discapito di quelli in contante, l'incidenza del nero è molto più bassa rispetto a Paesi come il nostro. Per questo ritengo – ha concluso la Portale - che l'idea di abolire il limite all'utilizzo del contante nasconda un bel rischio relativo all'aumento del nero, che poi si tramuta in mancato gettito fiscale».

I servizi e le indicazioni europee
Numeri a parte, che il mondo intero navighi verso un futuro senza contante lo dicono le innovazioni degli ultimi anni. I pagamenti digitali sono diventati abitudine per molti consumatori, gli smartphone stanno diventando strumenti di pagamento e sempre più applicazioni fungono da veri e propri strumenti finanziari. Anche le recenti disposizioni europee, come la PSD2, vanno nella direzione del digitale, agevolando i nuovi strumenti come i portafogli elettronici. Infine un dato: un po' tutte le big company (da Google a Facebook a Apple) stanno investendo fortemente nel settore dei pagamenti digitali, segno evidente che la strada è già stata tracciata. Una strada senza contante. E molto probabilmente tutto il resto non servirà più a niente. Neanche abolire i limiti.

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