L’imminente arrivo della californiana Eon Reality, leader globale della realtà virtuale aumentata, nel nuovo Worklife innovation hub alle porte di Bologna ben riassume la strada che la Regione Emilia-Romagna ha scelto di intraprendere per contemperare lo sviluppo economico e quello sociale: attrarre e agevolare gli investimenti – esteri e non – vincolandoli alla creazione di occupazione, competenze e attività di ricerca e innovazione. L’obiettivo è mettere a sistema in modo sinergico la rete territoriale di scuole e di poli tecnologici, vecchia manifattura e nuovi business e startup digitali, nonché tutto l’indotto lungo le filiere produttive.
«Siamo una regione che è riuscita a mantenere quasi intatta la forza delle filiere negli anni della crisi e ora dobbiamo stare attenti a non disperdere un patrimonio indispensabile per arrivare alla personalizzazione del prodotto finito, mantra dell’industria 4.0, governata dai big data e dal digitale; nessuna multinazionale potrà offrire al cliente un prodotto su misura se alle spalle non ha una catena di fornitura affidabile e di qualità», spiega l’assessore regionale alle Attività produttive, Palma Costi. Per cui largo agli investimenti di frontiera, ma senza lasciare indietro i saperi tradizionali e artigiani, che fanno del sistema economico emiliano-romagnolo un unicum nel panorama nazionale, sempre in una logica di coesione territoriale e intergenerazionale che sta portando il Patto per il lavoro verso il nuovo Patto per i giovani.
Margini di miglioramento ce ne sono. I dati sulle imprese e sulle dinamiche della via Emilia confermano che la salute della regione (record in Italia per crescita del Pil con un +1,8% atteso quest’anno, export a +6,8, disoccupazione scesa sotto il 6,5%) non è legata ai giovani. Anzi, se per giovani si intendono gli under 35, dai dati del centro studi Unioncamere emerge che sia per quota di imprenditori giovani (6,9% del totale) sia per dipendenti giovani (3,4%), l’Emilia-Romagna è sotto la media nazionale, che ha rispettivamente valori del 9,1% e del 5%. «Numeri che riflettono però la solidità dell’economia emiliano-romagnola – commenta il direttore del centro studi camerale, Guido Caselli – con imprese che offrono buone e stabili opportunità di lavoro ai giovani, meno inclini quindi a tentare avventure imprenditoriali in proprio». Più difficile trovare un buon posto di lavoro per gli stranieri: non a caso il 30% di imprenditori giovani sono di nazionalità non italiana.
«La prima lettura da fare - commenta Pietro Ferrari, presidente di Confindustria Emilia-Romagna – è che l’ossatura della regione è costituita da imprese prevalentemente manifatturiere con prodotti consolidati, che fanno innovazione all’interno e per le quali il know-how e l’esperienza sono strategici per salvaguardare l’eccellenza del prodotto. Parliamo poi di imprese familiari, dove l’invecchiamento della proprietà, tra un passaggio generazionale e l’altro, è anche sinonimo di relazioni forti e di grande fedeltà aziendale anche tra le persone che vi lavorando. Senza considerare che di giovani tecnici qualificati abbiamo una grande scarsità in regione. Siamo affannosamente alla ricerca di nuovi profili 4.0, ma non possiamo dimenticare che, per quanto allineata per competitività ai migliori Laender tedeschi, questa terra fatta di filiere tradizionali non può paragonarsi alla Silicon valley per opportunità da offrire ai talenti internazionali».
La stessa Regione ha avviato dal 2015 un progetto per portare i giovani startupper in California e spingere la contaminazione con l’avanguardia informatica del Golden State (il presidio fisso nella Silicon valley gestito da Aster è l’unico italiano). Così come sta lavorando per realizzare sotto le Due Torri l’hub europeo dei big data, facendo convergere all’interno del nuovo Tecnopolo (nell’ex Manifattura tabacchi) il data center del centro meteo europeo Ecmwf e l’enorme capacità di calcolo e di storage di dati che già oggi c’è e vale oltre il 70% del totale nazionale.
Le infrastrutture attorno alle imprese sono buone, dal sistema formativo-scolastico alle multiutility fino ai trasporti e sono il plus che attrae gli investitori internazionali. Come ha confermato David Scowsill, ceo di Eon Reality, presentando l’investimento da 24 milioni di euro per il nuovo centro digitale interattivo di Casalecchio di Reno, che aprirà il prossimo ottobre, dove lavoreranno 160 giovani con alte competenze (l’Academy interna sta già concludendo accordi con gli atenei emiliani per formare profili esperti in realtà aumentata e intelligenza artificiale). «In regione – ha detto Scowsill – vediamo una grande opportunità di trasferire la conoscenza delle competenze locali alla comunità globale. Questo centro garantirà all’Emilia-Romagna di rimanere all’avanguardia nell’innovazione ed è un investimento per le future generazioni».
Sono oltre 2.400 le imprese multinazionali con sede legale in Emilia-Romagna e quasi il 60% dei volumi di export della regione è legato a imprese che hanno legami formali all’estero. La Legge regionale per l’attrattività che ha richiamato ora Eon Reality, sta facendo la sua parte nell’attivare capitali: solo con il primo bando del 2016 ha già richiamato 13 progetti per 126 milioni di investimenti e 1.200 nuovi posti di lavoro (da Lamborghini e Ducati a Ynap, Teko Telecom e B.Braun Avitum). Il modello di sviluppo aperto è anche un monito a misurare sempre i 22.451 kmq della via Emilia su un mercato mondiale che è 6.663 volte più grande. Dove l’eccellenza in nicchie manifatturiere che contraddistingue storicamente distretti e filiere tra Piacenza e Rimini – dal food, con il record di Dop e Igp, alle supercar, dal packaging alla ceramica fino al biomedicale - ha bisogno di un grande lavoro di squadra alle spalle per orchestrare strategie promozionali e commerciali capillari. I vecchi campanilismi, duri a morire, che riempiono le cronache economiche regionali suonano fuori dal tempo.
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