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Autonomia addio, sul prato di Pontida anche i leghisti del Sud

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LA KERMESSE DEL CARROCCIO

Autonomia addio, sul prato di Pontida anche i leghisti del Sud

Matteo Salvini oggi all’arrivo alla festa della Lega a Pontida (Ansa)
Matteo Salvini oggi all’arrivo alla festa della Lega a Pontida (Ansa)

Di verde è rimasto solo il prato, dal simbolo ufficiale è stato scucito il Nord e la secessione sembra già reperto da passato remoto: la Lega che si ritrova oggi sulla “sacra spianata” del bergamasco per il suo tradizionale raduno, edizione numero 32 e la «più grande di sempre» pronosticano gli organizzatori, ha cambiato definitivamente i connotati e il più basso tasso di “padanità” della sua storia trentennale coincide con il ritorno al governo dopo sette anni di opposizione.

Archiviato il modello Bossi
È il risultato che il “capitano” Matteo Salvini può presentare ai militanti, frutto di una svolta che ha archiviato il modello autonomista del fondatore Umberto Bossi, quello della Lega “sindacato del Nord”, per virare verso il sovranismo, corrente di pensiero politico il cui il massimo interprete continentale resta Viktor Orbán, premier ungherese confermato per il terzo mandato consecutivo.

La competizione con i 5 Stelle
Rispetto all’originale magiaro, Salvini non è ancora arrivato così in alto. Si è però già imposto come capo del centrodestra e, dopo appena un mese da ministro dell’Interno e vicepremier, è riuscito a oscurare il Movimento 5 Stelle che alle elezioni aveva raccolto quasi il doppio dei consensi e che ora deve inseguire. I sondaggi dicono che se si votasse oggi la Lega sarebbe il primo partito, risultato mai nemmeno sfiorato dal Senatùr. La svolta cromatica, dalle bandiere verde padano all’azzurro nazionale delle scenografie e della felpa con la scritta “Salvini premier”, è la dichiarazione programmatica di un movimento che invoca “Prima gli italiani” senza più distinzione tra “padani” e meridionali, pur mantenendo il simbolo di Alberto da Giussano sulle proprie tessere.

Obiettivo forza nazionale
L’obiettivo è ancora più ambizioso: diventare, annuncia Salvini, «una forza internazionale che superi i confini regionali, nazionali e porti libertà, lavoro e sicurezza a tutti i popoli europei». L’orizzonte nazionale sembra a portata di mano: «Saremo lì anche con i prodotti tipici della filiera campana» fanno sapere i 250 i leghisti napoletani - ormai non più contradictio in adiecto - pronti a convergere su Pontida per omaggiare un segretario che ancora, nel 2009, intonava il ritornello «Senti che puzza, scappano anche i cani sono arrivati i napoletani» (lui spiegòche era un «coro da stadio a una festa tra amici»). Se dalla lista degli invitati si capisce molto del festeggiato, l’esordio di un governatore siciliano, Nello Musumeci, sul prato leghista, è la scelta più significativa.

La fedeltà al centrodestra
Presenza che, accanto a quella degli altri presidenti di regione di centrodestra, serve a Salvini per ricordare che quell’alleanza resta valida. Nonostante il patto di governo a Roma con M5S e nonostante la distanza con Silvio Berlusconi. Sui migranti soprattutto. È «ingenuo», lo ha ammonito il Cavaliere, pensare che i «paesi del gruppo di Visegrád o la Csu tedesca» possano essere nostri alleati. Il modello, però, è quello. Orbán sigillò il confine meridionale con il filo spinato; Salvini ha esordito al Viminale con la chiusura dei porti ai “clandestini”. Il premier ungherese ha dichiarato guerra alle Ong che aiutano i profughi; il vicepremier italiano avverte che «navi stranieri finanziate in maniera occulta da potenze straniere in Italia non toccano terra». È il sovranismo, sogno autonomista cresciuto a dismisura.

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