Il cortocircuito tra politica e alta burocrazia innescato dal primo decreto economico del governo M5S-Lega non nasce dal nulla. Arriva dopo settimane di alta tensione, in cui esponenti di punta dell’esecutivo si sono rivolti direttamente contro l’Inps. In un incendio che ora tocca la Ragioneria generale nonostante le smentite.
NUMERI CALDI SULLE PENSIONI
I primi attacchi contro l’Inps sono arrivati qualche settimana fa dal vicepremier Matteo Salvini, che ha accusato Boeri di «vivere su Marte» per le sue analisi sul contributo dei migranti ai difficili equilibri pensionistici di un’Italia che invecchia e fatica ad agganciare ritmi di ripresa europei. Ma quello sui contributi degli stranieri è solo il prologo dello scontro più importante, che si sta addensando su uno dei capitoli chiave del programma del Carroccio finito al centro del contratto di governo con il Movimento 5 Stelle: la revisione (abolizione, per Salvini) della legge Fornero.
Ancora ieri l’Inps ha diffuso calcoli indigesti sul costo degli interventi possibili sulla previdenza. Si tratta di un ventaglio ampio, che va dai 4,6 miliardi all’anno dell’ipotesi più “leggera (introduzione di quota 100 con limite minimo di età per l'uscita a 64 anni) agli 11,6 a cui si giunge se si reintroduce anche la pensione di anzianità a 41 anni. Il pacchetto completo, che prevede anzianità e quota 100 senza vincoli anagrafici, totalizza 14,4 miliardi. E si tratta, secondo l’Inps, solo dei costi per il primo anno, in una dinamica incrementale come accade sempre quando si parla di previdenza.
Sul punto l’Inps non è solo. Giusto tre giorni fa, presentando alla Sala della Lupa di Montecitorio il proprio Rapporto 2018 sulla finanza pubblica, la Corte dei conti non ha usato troppa diplomazia. Sul nostro Paese pende una bomba demografica, hanno sostenuto i magistrati dei conti, e in questo quadro gli spazi per rivedere le regole pensionistiche «sono stretti, se non del tutto esauriti».
IL RUOLO (DELICATO) DELLA RAGIONERIA
Per sostenere questa tesi, la Corte ha richiamato due cifre: il debito cumulato (60 punti di Pil da qui al 2050) che la legge Fornero ha evitato ai conti pubblici, e il peggioramento che comunque si prospetta nel peso del debito sulla ricchezza nazionale (8 punti al 2040, 32 al 2070) se si realizza una crescita media inferiore a un tasso medio del 2%; tasso che negli ultimi anni è stato confinato nelle analisi di sostenibilità previdenziale, senza affacciarsi mai nella realtà. E da dove arrivano queste cifre? Dalla Ragioneria generale dello Stato, che ogni anno aggiorna le proprie stime di medio-lungo periodo sul sistema previdenziale, essenziali anche per l'elaborazione del Def.
LINGUE DIVERSE
Sulle pensioni, insomma, si chiude il cerchio di un rapporto fra governo e burocrazia dei numeri che in queste prime settimane si sta dimostrando parecchio complicato. Nel comunicato congiunto Tria-Di Maio si punta il dito solo contro l’Inps, e si spiega che il leader M5S «non ha mai accusato né il ministero dell’Economia né la Ragioneria generale dello Stato». Ma il “bollino” in basso a sinistra di ogni pagina della relazione tecnica incriminata è quello della Ragioneria, com’è ovvio, perché il passaggio serve ad assicurare prima di tutto il Quirinale del fatto che «ogni legge che importi nuovi o maggiori spese» indichi «i mezzi per farvi fronte». Lo impone l’articolo 81 della Costituzione, di cui il Colle è il primo custode.
La relazione tecnica, insomma, nasce dai ministeri che propongono i provvedimenti, in questo caso il ministero del Lavoro e dall’Inps, ente “vigilato” proprio dal ministero di Di Maio. Ma se contiene «stime discutibili» e «prive di basi scientifiche», come sostengono Tria e lo stesso Di Maio nel comunicato congiunto, qualche crepa si apre anche dalle parti della Ragioneria, com’è inevitabile dopo un’inedita smentita di una relazione tecnica da parte del ministro dell’Economia.
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