L’immigrazione è soltanto una, sicuramente la più vistosa, delle tante linee del fuoco aperte dal governo gialloverde con l’Europa. A elencarle ci ha pensato tre giorni fa Matteo Salvini, poco prima di volare a Mosca: «L’Europa che poteva essere un’opportunità in questo momento su tanti fronti è un problema, pensiamo a migranti, banche, politica agricola, sanzioni alla Russia».
Il vicepremier non ha citato i conti pubblici, ma di diritto andrebbero inseriti nella rosa. Lo dimostrano le preoccupazioni e la prudenza del ministro (tecnico) dell’Economia Giovanni Tria. Costretto tra l’incudine rigorista di Bruxelles e il doppio martello di Salvini e dell’altro vicepremier Luigi Di Maio, che ogni giorno fanno a gara ad alzare l’asticella con l’Unione europea.
Salvini si prende la scena dal Viminale chiudendo i porti alle navi delle Ong e attaccando l’Ue «che fa il lavoro degli scafisti»? Di Maio lascia a Roberto Fico e ai fedelissimi del presidente della Camera il compito di smarcarsi dalle posizioni più oltranziste del partner di governo, anche per cercare di frenare l’erosione dei consensi arrivati al M5S da sinistra. Per il resto segue, puntellando, come è avvenuto con la richiesta unanime di modificare la missione Sophia. E appena può rilanciando, per cercare spazi di autonomia. Lo ha fatto scagliandosi contro la riforma del copyright, rimandata a settembre dall’Europarlamento. Lo ha fatto di nuovo attaccando frontalmente il sistema bancario «arrogante», proprio a pochi giorni dal monito del presidente dell’Abi a non isolarsi dall’Ue. Lo avrebbe fatto oggi e domani al vertice informale dei ministri del Lavoro a Vienna (cui all’ultimo momento ha scelto di non partecipare), cominciando a sollecitare un deciso cambio di rotta nell’agenda europea sull’occupazione.
Anche sul “no” alle sanzioni alla Russia (le più pesanti scadono il 31 luglio) Lega e M5S marciano insieme, con Salvini che non ha escluso il veto italiano alla proroga. D’altronde il premier Giuseppe Conte, che incontrerà Putin a Mosca il 24 ottobre, sin dal suo discorso per la fiducia alle Camere aveva chiarito l’orientamento del governo.
Dove la compattezza dell’esecutivo appare meno granitica è sui trattati commerciali. Il Movimento 5 Stelle è da sempre acerrimo nemico del Ceta, l’accordo commerciale tra Ue e Canada che deve passare al vaglio dei Parlamenti nazionali. Di Maio ha minacciato di sostituire i funzionari italiani all’estero che lo sostengono e ha già annunciato il voto contrario della maggioranza. Ma sebbene lo stesso Salvini abbia espresso più di una perplessità, il ministro delle Politiche agricole, Gian Marco Centinaio, sta prendendo tempo. «Abbiamo ancora due anni per la ratifica, voglio dati oggettivi», ha detto ieri. L’ostilità al Ceta, ritenuto lesivo del “made in Italy”, si aggiunge alla guerra che il governo ha proclamato contro la riforma della politica agricola comune presentata dalla Commissione, che prevede 2,7 miliardi di contributi in meno per l’Italia nel 2021-2027.
Tante turbolenze, molti dubbi sul futuro dei rapporti tra Roma e Bruxelles. Certo non dissipati dalle parole del ministro Paolo Savona, quando a proposito del pericolo del “cigno nero”, l’uscita dall’euro, alle commissioni parlamentari ha risposto: «Potrebbero essere altri a decidere, dobbiamo essere pronti a ogni evenienza». A Palazzo Chigi si naviga a vista, tra un affondo e una rassicurazione. La legge di bilancio sarà un banco di prova: Tria dovrà riuscire nell’impresa di garantire il rispetto dei parametri e al contempo di avviare almeno qualcuna delle promesse del contratto di governo. In attesa del confronto a consuntivo con l’Europa nella primavera 2019. Alla vigilia delle elezioni europee. Salvini e Di Maio si muovono anche guardando a quell’appuntamento.
Il leader della Lega siede nel gruppo Enf con Le Pen del Front National francese e Wilders del Pvv olandese, ma sogna un’alleanza dei sovranisti e non nasconde il feeling con i Paesi Visegrad (nonostante la loro indisponibilità ad accogliere rifugiati dall’Italia). Più difficile la partita per il M5S, che sinora ha escluso apparentamenti con la destra e patti elettorali con la Lega. Ma il rischio dell’isolamento per i pentastellati, che vedranno uscire gli inglesi di Farage dal gruppo Efdd, è molto alto. E il miraggio di un asse con Macron va scemando di scontro in scontro.
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