Si fa presto a dire revoca. Di fronte alla gravissima perdita di vite umane e ai danni provocati dal crollo del ponte autostradale a Genova, il governo ha annunciato subito di voler revocare la concessione rilasciata alla Società Autostrade, gestore dell’infrastruttura. Una simile iniziativa non va presa tuttavia sotto l’emozione di un evento così tragico, che ha scosso l’opinione pubblica e che certo non giova all’immagine del nostro Paese. Essa richiede necessariamente una serie di approfondimenti tecnici, giuridici ed economici da avviare con le dovute forme.
Infatti, la responsabilità dei concessionari autostradali e i loro obblighi sono disciplinati dalle convenzioni con l’ente concedente (Anas) e definiti già in occasione della procedura di affidamento da parte dell’ente proprietario dell’infrastruttura. In primo luogo, occorrerà stabilire se il crollo del ponte sia dovuto a un difetto di manutenzione o a un difetto di progettazione. Nel primo caso la responsabilità principale grava sul concessionario che deve effettuare tutti gli investimenti necessari. Nel secondo, bisognerebbe risalire all’epoca in cui l’opera fu realizzata (circa mezzo secolo fa) per individuare le modalità di elaborazione e approvazione dei progetti, di esecuzione dei lavori, inclusa la fase del collaudo.
In ogni caso, l’ente concedente, proprietario dell’autostrada, ha il dovere di monitorare tutte le attività del gestore, inclusa la manutenzione dell’opera e la realizzazione degli investimenti previsti nella convenzione per migliorarla (per esempio, realizzando, ove manchi, una terza corsia). A questo fine il concedente può effettuare accessi, ispezioni e richiedere informazioni e documenti.
Nel caso del crollo del ponte, occorrerà accertare nel modo più preciso possibile le attività concretamente svolte sia dal concessionario, sia dal concedente. L’esito potrebbe anche essere quello di un concorso nelle responsabilità. È probabile che questo tema emergerà, non solo in sede di indagini penali, ma anche in sede di azioni civili per danni proposti dai parenti delle vittime e da chi ha subito danni materiali.
Ma il tema della revoca riguarda il rapporto, per così dire, interno tra concedente e concessionario sul quale si possono fare alcune considerazioni generali. Intanto, le convenzioni autostradali distinguono due tipi di risoluzione di un rapporto che ha fisiologicamente una durata pluridecennale: la decadenza e il recesso.
La prima presuppone una grave inadempienza colpevole o addirittura dolosa del concessionario che va accertata in un procedimento in contraddittorio. Inoltre, la decadenza costituisce per così dire la extrema ratio, visto che molte inadempienze sono sanzionate attraverso penali. In ogni caso, anche la decadenza prevede il pagamento di una somma a titolo di indennizzo prevista nella convenzione.
Il recesso (detto anche revoca o risoluzione) non presuppone necessariamente un’inadempimento. Può essere infatti giustificato anche da fatti straordinari imprevedibili, estranei alla volontà del concedente. Neppure il recesso può essere dunque arbitrario e comporta comunque un indennizzo molto più oneroso a carico del concedente. In caso di mancato accordo sull’importo intervengono procedimenti conciliativi o giudiziari civili.
La decadenza o revoca della concessione dunque è una decisione che non può essere presa alla leggera. È giusto che il governo non vada, per così dire, a rimorchio delle indagini penali e che dunque ponga in essere tutte le verifiche necessarie (e sembra aver cominciato con l’insediamento della commissione al ministero). Potrebbe essere opportuno, anche in questo caso, acquisire qualche parere indipendente, in particolare dell’avvocatura dello Stato, perché lo scioglimento del rapporto concessorio potrebbe rivelarsi eccessivamente oneroso. Se poi, magari a distanza di anni, dovesse emergere giudizialmente che mancavano i presupposti per una misura così estrema, non è da escludere un’iniziativa della Corte dei conti nei confronti di chi, con una decisione affrettata, abbia causato un danno all’erario.
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