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Tagliare non basta, per il Governo la vera sfida sarà riqualificare la…

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verso la manovra

Tagliare non basta, per il Governo la vera sfida sarà riqualificare la spesa dello Stato

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Si parte dai tagli ai ministeri, per recuperare risorse in vista della manovra 2019. Dalla risposta che verrà dai singoli titolari dei dicasteri, si verificherà tra breve la fattibilità dell’ambizioso, quanto complesso programma di contenimento della spesa corrente indicato dal ministro dell’Economia, Giovanni Tria, lo scorso 3 luglio presso le commissioni Bilancio di Camera e Senato: mantenere fermo l’andamento nominale della spesa di parte corrente con riferimento al consuntivo 2018, per aprire spazi all’aumento della componente in conto capitale, in sostanza gli investimenti soprattutto in infrastrutture.

Intendimento programmatico apprezzabile, e ora reso ancor più stringente dopo il drammatico crollo del ponte Morandi a Genova, ma alquanto complesso da realizzare. Con il blocco della spesa corrente si potrebbero conseguire risparmi per 50 miliardi nel triennio, secondo i calcoli del ministero. Ma prima di tutto occorre stabilire dove e come intervenire. Del totale complessivo della spesa pubblica, pari a 839 miliardi, 164 miliardi sono destinati ai redditi da lavoro dipendente, 140 miliardi ai consumi intermedi, 342 alle prestazioni sociali, con le pensioni che assorbono ben 264 miliardi. Spazi effettivi di intervento vi sono, ma occorre una precisa e ferma volontà politica nel perseguirli. Tria annuncia che ogni ministero «avrà obiettivi specifici», e che in ogni caso non vi saranno tagli su sanità, scuola e ricerca. Torna a riproporsi l’eterna e irrisolta questione della riqualificazione della spesa pubblica. Con l’aggiornamento del Documento di economia e finanza in arrivo per fine settembre il quadro si chiarirà. Si parte dal bilancio presentato dall’ultimo commissario alla spending review, Yoram Gutgeld: 29,9 miliardi di riduzione di capitoli di spesa tra il 2014 e il 2017, cui dovrebbero aggiungersi i 2,5 miliardi previsti dalla manovra 2018 (con un intervento di 1 miliardo sui ministeri).

Il problema è che quelle risorse sono state utilizzate per coprire altri interventi di spesa, con il risultato che nel saldo finale non si è assistito a una vera frenata. Ben 12,7 miliardi dei risparmi realizzati nel 2014-2017 sono andati a coprire maggiori prestazioni previdenziali e assistenziali. Si torna alla questione di partenza. Poiché l’azione di contenimento della spesa pubblica è operazione politica di prim’ordine, la domanda è se l’attuale governo, autodefinitosi del cambiamento, intenderà o meno assumersene l’onere (con relativi costi da pagare in termini di consenso almeno nell’immediato).

Ridurre la spesa corrente per finanziare altre spese correnti può servire a fini di consenso e forse di redistribuzione, ma non a ridurre il livello complessivo della spesa. L’obiettivo di una vera spending review è selezionare, riprogrammare, rendere efficiente la macchina pubblica, tagliando sprechi e intervenendo sui meccanismi che ne alimentano l’incremento, con ciò aprendo gli spazi alla riduzione della pressione fiscale. Tria ammette che congelare la spesa corrente in termini nominali è operazione complessa, ma rilancia sostenendo che comunque la spesa corrente «deve diminuire perché questo consente di cambiare la composizione del bilancio». Sul tema, al momento, le diverse anime e componenti dell’attuale governo non sembrano marciare in una stessa, univoca direzione.

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