Nella sua pastorale «economica» Papa Francesco non lascia indietro niente e nessuno. È chiara nella comprensione, ma complessa nell’argomentazione. E molto incisiva nelle conclusioni. Nell’intervista al direttore del Sole 24 Ore Guido Gentili, la prima ad un giornale economico e finanziario, Bergoglio ripercorre la sua vasta dottrina sociale, riprendendo il filo dal primo messaggio, il più forte di tutti, dell’Evangelii Gaudium del 2013, il «manifesto» del pontificato: «Questa economia uccide» perché mette al centro di tutto il denaro e ubbidisce solamente alle sue logiche.
Parole che allora stordirono e ancora oggi disorientano i puri e duri del mercatismo. Dopo quel documento ne sono seguiti altri fondamentali, tra cui spiccano l’enciclica del 2015 Laudato Si', fortemente osteggiata dalle centrali finanziarie americane, e poi il recente Oeconomicae et pecuniaria quaestiones (curato dalla Dottrina della Fede, che in passato si occupava solo di eresie, per dire…) proprio sulla finanza. Il tutto inframezzato da una lunga, e del tutto inedita per un Papa, serie di discorsi – compreso quello a Confindustria del 2016 – con sempre il richiamo alla centralità della persona e del lavoro. Tutti i concetti espressi da Bergoglio in cinque anni e mezzo di pontificato, e ora rafforzati in sintesi nell’intervista al Sole 24 Ore (dove affronta anche il tema dei sussidi, molto d’attualità in Italia) fondano le radici nella Dottrina Sociale della Chiesa, l’architrave del pensiero economico cattolico. Bergoglio – spesso lo ha ribadito lui stesso – non ha inaugurato un canale di pensiero proprio, magari frutto del sostrato culturale latino americano, come vogliono far passare i suoi detrattori, specie nordamericani. Tutto è dentro la dottrina: diverso è il modo di proporlo a cattolici e non, insomma la sua pastorale.
Il percorso avviato da Wojtyla e Ratzinger
Certo, non tutti i pontefici hanno declinato la Dottrina allo steso modo, ma un filo rosso che li lega c’è eccome. Benedetto
XVI, il papa-teologo, ha guidato la Chiesa in un periodo tormentato non solo per i fatti interni al mondo ecclesiale, ma anche
a cavallo della deflagrazione e successivo sviluppo della crisi finanziaria ed economica: già nel 2008 pensò di dare alle
stampe un documento, ma attese un po’ di mesi visto il progredire devastante della congiuntura. E nel giugno 2009 diede alle
stampe l’enciclica Caritas in Veritate, dove affrontò di petto i temi della disuguaglianza e dell’immoralità delle speculazioni finanziarie. Un testo deciso, in
cui era netta l’impronta ratzingeriana, con la presenza dei temi dell’ateismo, del relativismo, della sessualità. E certamente
rappresentò un passo avanti rispetto al precedente documento economico, la celebre Centesimus Annus di Giovanni Paolo II, enciclica scritta dal papa polacco a cento anni dalla Rerum Novarum di Leone XIII, la pietra miliare della Dottrina Sociale, un manifesto di giustizia in mezzo alla rivoluzione industriale che
aveva creato una classe di sfruttati, facile preda tra l’altro delle dilaganti idee socialiste. La Centesimus Annus è un documento fondamentale, forse il punto di maggiore prossimità tra la dottrina cattolica e il capitalismo classico.
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Il contesto è importante: è il 1991, l’Est da cui il Papa proveniva aveva da poco aperto le porte, e nel pensiero della Chiesa globale wojtyliana aveva spazio l’influenza dei filosofi ed economisti americani, che avranno ascolto (anche se in misura minore) con Ratzinger. Questo non è il solo documento economico-sociale di Giovanni Paolo: in precedenza aveva scritto nel 1981 la Laborem Exercens – che rimetteva il lavoro al centro della vita sociale, tema da lui ben conosciuto viso il suo passato di operaio – e Sollicitudo Rei Socialis (1987) sulla libera iniziativa economica, da leggere anche con un occhio critico ai sistemi centralizzati comunisti.
La svolta sui temi globali di Paolo VI
Un percorso quindi abbastanza serrato, visti i tempi della Chiesa, ad anni di distanza dalla fondamentale Populorum Progressio di Paolo VI – citata largamente da Bergoglio nell’intervista a Guido Gentili – in cui Montini, che aveva da poco chiuso il
Concilio (che grandi speranze aveva acceso nel mondo cattolico), affrontava i problemi del mondo, in qualche modo precorrendo
la globalizzazione, sollecitando gli stati ad affrontare le sfide dell’umanità, spaccata tra ricchi e poveri. La novità è
forte: si passa da un approccio «caritatevole», quindi di fatto circoscritto, al coinvolgimento delle responsabilità delle
nazioni, in una fase di impetuoso e disordinato sviluppo economico.
Per ritrovare un pilastro della Dottrina sociale bisogna risalire indietro fino a Pio XI e alla sua Quadragesimo Anno, scritta per i 40 anni, appunto, dalla Rerum Novarum. Un documento che esce nel 1931, a meno di due anni dal crollo di Wall Street e dell’inizio della grande depressione. E infatti il testo di Papa Ratti – ancora studiato a fondo e capace di ispirare la nascita di una Fondazione per lo studio del pensiero economico della chiesa – descrive i danni di un capitalismo incontrollato. Se si scorre, pare un testo scritto oggi, o al massimo dieci anni fa. Esattamente quando la crisi ebbe avvio, con il crack della Lehman Brothers.
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