Dopo i cali registrati a giugno e luglio, ad agosto l’occupazione torna positiva: +69mila persone hanno dichiarato di avere
un impiego. Risalgono i rapporti a tempo indeterminato (+50mila unità), complice probabilmente alcune stabilizzazioni di contratti
a tempo più lunghi, vista la stretta introdotta, dal 14 luglio, con il decreto dignità. Crescono anche i lavoratori temporanei,
un po' turn-over, un po' sfruttando il “periodo transitorio” fino al 31 ottobre, che il Legislatore ha introdotto per consentire
a imprese e lavoratori di adeguarsi al nuovo regime normativo, che non avrà più deroga dal 1 novembre. La crescita dell’occupazione,
ad agosto, interessa soprattutto i lavoratori 35-49enni, anche se sull’anno, per questa fascia centrale di persone, la situazione
resta difficile, con -56mila occupati. Per i giovani, il tasso di disoccupazione torna a salire e si attesta al 31 per cento.
Le stabilizzazioni di rapporti a tempo “lunghi”
Agosto, è nei fatti, il primo mese di intera applicazione delle nuove regole tratteggiate nel decreto Conte, in vigore dal
14 luglio, che, come si ricorderà, hanno ridotto e resi più onerosi per le imprese i contratti a termine, ripristinando, dopo
i primi 12 mesi di rapporto “libero”, la causale, e incrementato del 50% gli indennizzi in caso di licenziamento illegittimo
nei contratti a tutele crescenti. Certo, è ancora presto per vedere nel dettaglio l’effetto di queste norme. Si possono intravedere
primi comportamenti: probabilmente chi a luglio aveva in corso contratti a tempo lunghi (con la precedente normativa si poteva
arrivare a 36 mesi), per non incorrere nelle causali, ha stabilizzato. Altre imprese, invece, hanno attivato rapporti brevi
sfruttando il regime transitorio. Quello che è sicuro è che c'è stato molto disorientamento tra gli operatori per l’ennesimo
cambio delle regole sui rapporti contrattuali.
Le “difficoltà” dei rapporti a tempo indeterminato
Un clima di incertezza che rischia di protrarsi a lungo. Due dati, diffusi sempre dall'Istat, rappresentano delle spie significative.
La contrazione degli impieghi a tempo indeterminato sull'anno, -49mila unità. Qui va acceso un campanello d’allarme. Sia per
le implicazioni (che si vedranno tra qualche mese) che potrebbe avere la pronuncia della Corte costituzionale che, la scorsa
settimana, ha dichiarato illegittimo il criterio di calcolo (della sola anzianità aziendale) per determinare gli indennizzi nei licenziamenti ingiustificati. Oltre al ritorno a una discrezionalità
di fatto piena dei giudici, si scoraggeranno i nuovi contratti stabili, visto che anche un lavoratore neo-assunto a tutele
crescenti, se avrà un bravo avvocato, potrebbe riuscire a ottenere fino a 36 mensilità in caso di separazione dall'impresa.
Va poi evidenziato come, a oggi, da gennaio 2019 non ci saranno più sgravi totali (oggi limitati al Sud) per le assunzioni
a tempo indeterminato. L'unico esonero vigente, il prossimo anno, sarà l'incentivo ridotto per stabilizzare under35, prorogato
dal decreto Conte, ma che già però nei primi sette mesi dell'anno è stato utilizzato in appena poco più di 70mila contratti
fissi, meno del 7 per cento del totale.
Serve un intervento sul costo del lavoro
In questo quadro, con luci e ombre, le scelte che il governo farà in legge di Bilancio saranno fondamentali. A partire dalla
riduzione del costo del lavoro, che sembra tornata in bilico in queste ore. Solo un contratto stabile più conveniente per
le aziende, potrebbe agevolare quel fenomeno di rilancio, su larga scala, di questo istituto (nonostante i disincentivi normativi
e l'incertezza oggi predominanti). Vanno poi rilanciate le politiche attive: se lo strumento, come sembra, sarà il reddito
di cittadinanza, bisogno costruirlo in chiave anti-assistenzialismo. Non è mai facile disegnare una misura a metà contro la
disoccupazione e per l'altra metà, contro la povertà. Specie se collegata a centri per l'impiego, da sempre, prima e dopo
il Jobs act, l'anello debole del mercato del lavoro. Insomma, se ci sono le risorse, è bene indirizzarle su costo del lavoro
e vere politiche attive piuttosto che su misure spot che rischiano di non intaccare (e risolvere) i nodi strutturali del nostro
mercato del lavoro.
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