La battaglia con l'Europa e il derby continuo fra Lega e Cinque Stelle su reddito di cittadinanza e pensioni hanno animato la girandola di obiettivi di deficit che ha dominato la lunga fase di costruzione della Nota di aggiornamento al Def più travagliata che si ricordi. Ma ora che il documento è pubblicato, diventa più facile misurare con i numeri il pilastro su cui regge la sua fragile architettura: un'ambiziosa scommessa sulla crescita fondata sulla convinzione fiduciosa che la macchina degli investimenti pubblici possa ripartire in fretta, grazie alle semplificazioni e a un supporto centrale in grado di compensare l'incapacità progettuale di una Pubblica amministrazione desertificata di competenze. L'obiettivo è corretto. Ma rischia di essere troppo ambizioso per una questione di tempi e di volontà politica.
La scommessa sugli investimenti pubblici
Il calendario è quantomeno “sfidante”, per usare il linguaggio eufemistico dei manager che odiano parlare di “problemi”. Già
l'anno prossimo le misure espansive della manovra dovrebbero regalare da sole sette decimali di crescita, in una congiuntura
che vede il vento contrario di commercio internazionale, prezzo del petrolio e valute. Larga parte di questa spinta è attesa
dalla ripresa degli investimenti pubblici. Ma basteranno davvero pochi mesi a rianimare una pubblica amministrazione che in
questi anni è rimasta ferma nonostante i piani multimiliardari di spesa in conto capitale che si sono succeduti di manovra
in manovra?
Genova e Terzo Valico, segnali non buoni
Ci vuole tanto ottimismo per crederlo. Anche perché quando si mettono da parte le tabelle del Def, la politica sembra molto
meno convinta sulla strada da prendere. Tralasciando i 51giorni che ci sono voluti per arrivare alla scelta più ovvia sul
commissario per la ricostruzione, il decreto su Genova ha messo un dito nell'occhio al terzo valico, rilanciando una polemica
interna alla maggioranza che dalla Tav alla Tap fino alla gronda non ha dimenticato nessuna far le opere pubbliche più importanti.
Gli economisti fanno bene a discutere di moltiplicatori. Ma prima la politica dovrebbe decidere se gli investimenti pubblici
vanno bene solo nelle tabelle del Def o anche nella realtà dei territori.
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