Il binomio Milano-Cortina vince l’assegnazione delle Olimpiadi invernali 2026, vent’anni dopo i giochi di Torino.
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Era infatti il 19 giugno 1999 quando Torino conquistò la rassegna a cinque cerchi del 2006. Da allora, ci ha provato due volte Roma per l’edizione estiva. Nella corsa per i Giochi 2020 fu l’allora premier Mario Monti a dire di no, nella sfida verso il 2024 è stata la sindaca Virginia Raggi a gelare il Comitato olimpico nazionale. Ma proprio quel giorno, l’11 ottobre 2016, il presidente del Coni Giovanni Malagò rilanciò, candidando Milano per l’assemblea 2019 del Cio. Un’assegnazione che è divenuta il grimaldello che ha spalancato nuovamente le porte olimpiche all’Italia.
L’idea della candidatura tricolore per i Giochi d’inverno 2026 nasce infatti durante i colloqui con i membri Cio, in visita nel capoluogo meneghino. Forse il Cio si sarebbe aspettato una candidatura della sola Milano, ma pur di venire incontro alla presenza tricolore nella corsa a tre – le rivali sono Stoccolma e Calgary, dopo il forfait della turca Erzurum – ha ben accolto il coinvolgimento di più città. A fine luglio, il Coni aveva licenziato la candidatura “Milano-Torino-Cortina”, mentre a Buenos Aires, martedì, sul tavolo dei membri Cio finirà il fascicolo del binomio “Milano-Cortina”.
E a Milano a San Siro potrebbe essere celebrata la cerimonia di apertura dei Giochi che non è mai stata effettuata in un impianto così grande (mentre per quella di chiusura si sta valutando l’altrettanto affascinante ipotesi dell’Arena di Verona).
In Argentina peraltro non dovranno essere illustrate le fonti di entrata: le garanzie – statali o regionali – andranno infatti recapitate a Losanna entro l'11 gennaio 2019, inserite in un più articolato dossier sulla candidatura. I costi per gli investimenti infrastrutturali per Milano-Cortina dovrebbero essere in linea con quelli stimati per la candidatura tripla. Quindi sarebbero confermati i 376 milioni inseriti nel masterplan “Mi-To-Co”, licenziato dalla commissione valutazione il 1° agosto scorso. In quel documento la spesa infrastrutturale riguardava gli impianti di gara per 156 milioni e gli edifici di supporto (il villaggio per atleti e giornalisti, nonché il centro di produzione televisiva e il centro stampa) per 220 milioni. Il Veneto garantirà circa 100 milioni. Il resto sarà a carico della Lombardia. Ovviamente gli investimenti non finiranno qui, perché ai 376 milioni andranno aggiunte le infrastrutture per la mobilità: strade, autostrade, ferrovie, ponti, gallerie, eccetera. Questi interventi non sono stati ancora presi in considerazione (ma Cortina ha già ricevuto stanziamenti per i mondiali di sci alpino del 2021) nella prima versione del piano di fattibilità.
Passando invece alla parte operativa, cioè ai costi legati all’attività del comitato organizzatore (stipendi per il personale, costi di marketing, promozione, pubblicità, spese di rappresentanza, viaggi, trasferte, costi per servizi, consulenze e così via) e all’allestimento dei Giochi (cerimonie di apertura e chiusura, spese vive per le gare) una prima stima porterebbe a 1 miliardo e 200 milioni di euro. Quindi, al momento, escluse le infrastrutture viarie, i Giochi italiani 2026 costerebbero poco più di un miliardo e mezzo di euro. Occhio però a non mischiare le due tipologie di spese. Infatti, mentre gli investimenti in impianti e infrastrutture saranno a carico del Paese organizzatore, per la spesa operativa il Cio interverrà con un contributo, stimato ad oggi intorno ai 900 milioni di euro. Perché? La risposta si trova analizzando i ricavi di un’Olimpiade.
Sul fronte del fatturato, il Cio gestisce direttamente le tre principali fonti di entrata: diritti televisivi, top sponsor e fornitori ufficiali. Con questi introiti il Comitato olimpico internazionale è in grado di foraggiare la quasi totalità della spesa operativa. Le voci di fatturato gestite dal comitato organizzatore locale sono: i biglietti; gli sponsor domestici ( non in conflitto con quelli del Cio) e il merchandising sul territorio nazionale.
È pertanto la parte infrastrutturale l’elemento di spesa da monitorare. Da qui i discorsi sulla dislocazione degli impianti, con l’obiettivo di ridurre i costi. Nella cartina a cinque cerchi dovrebbero quindi rientrare i trampolini di Predazzo e le piste di fondo di Lago di Tesero, nella trentina Val di Fiemme, e il centro del biathlon di Anterselva, in Alto Adige. Impianti già esistenti nell’ottica di una Olipiandi low-cost. A Cortina verrebbero concentrati sci alpino, sport del budello (bob, slittino e skeleton) e curling, mentre in Valtellina andrebbero lo snowboard a Bormio, il freestyle a Livigno e lo sci di fondo a Santa Caterina. Tutto il resto a Milano, dove gli impianti del ghiaccio sarebbero quattro: due palazzetti per l'hockey, l'anello per il pattinaggio velocità e la pista per short track e pattinaggio figura. Sin qui si è solo abbozzato. Da martedì parte la corsa che si concluderà tra meno di un anno con l'assegnazione dei Giochi.
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