Il simbolo di un muro, la musica dei Pink Floyd e due striscioni: “Oltre il Ponte c'è”. E “Liberate la Valpolcevera”. Sono rimasti due mesi in silenzio, «rispettosi delle vittime, dell'emergenza e anche dei tempi della politica»- spiegano, ma ora chi è senza casa, senza lavoro e senza quella vita che conduceva prima del 14 agosto - quando il crollo del ponte Morandi ha inghiottito 43 esistenze e la loro tranquillità - scende in strada.
Per chiedere «tempi certi, al posto di vaghe promesse», la «riapertura delle strade», «garanzie di occupazione». Scorrono
una dietro l'altra, sui manifesti del corteo, che da piazza Caricamento arriva fino al palazzo della Regione, le richieste
di Genova al sindaco- neo commissario straordinario e soprattutto al Governo.
Ci sono gli sfollati innanzitutto, circa 600, che temono ora di «restare schiacciati, nel braccio di ferro tra Governo e Autostrade»,
ripetono in coro. “Come una fetta di salame e noi stiamo nel centro”, sintetizza per tutti Franco Rivera, divenuto portavoce
degli abitanti di via Porro e via Fillak, rimasti senza casa e con molte “perplessità su un decreto che a tutti sembra ancora
poco, come i fondi ipotizzati. Noi i politici siamo abituati ad applaudirli dopo che hanno fatto, non quando vengono a fare
annuncia davanti alle telecamere”. Indossano le magliette “Genova nel cuore” e snocciolano, con toni sempre più adirati, i
loro problemi. Nel restare fuori casa, in albergo, ospiti da parenti o in autonome sistemazioni, senza aver potuto prendere
ancora altri effetti personali e soprattutto senza indicazioni di tempi e cifre sui risarcimenti. “Perché vogliamo ricostruire
una nostra casa e il Governo ha scelto la via più complessa in tutta questa vicenda. Il nostro timore è che questo porti ad
una situazione di stallo”, riflette Sabrina, mentre sorregge lo striscione col simbolo del ponte crollato e un muro. Un muro,
che di fatto Dal 14 agosto isola gli abitanti di tutta l'area della Vapolcevera. “Siamo isolati, bloccati da un muro di traffico,
dall'impossibilità di raggiungere l'ospedale, dal rischio ogni giorno più concreto di veder chiudere negozi, aziende”.
E dal 14 agosto hanno i cancelli chiusi tutte le aziende, che si trovano sotto al ponte, nei pressi della Ansaldo. La Italferr, Lamparelli, Garbarino autodemolizioni, Piccardo srl, Vergano. I loro dipendenti camminano nel corteo, con le tute da lavoro, quelle che non indossano da quasi due mesi. Perché “le aziende sono in zona rossa, non si sa se saranno spostate, sono bloccati i finanziamenti e noi siamo a casa senza lavoro, senza stipendio. E senza neanche la cassa integrazione”, denunciano Marco Trucco e Franco Di Patti, due operai di imprese con meno di 15 dipendenti. Stanno provando a mettersi insieme, per essere più forti. Nelle tante esigenze aperte dal crollo Morandi, loro sentono di essere “dimenticati da altre priorità, ma noi stiamo vivendo anche peggio degli sfollati, perché non riusciamo a pagare l'affitto e siamo sempre più senza speranze”. Di passerelle, rassicurazioni e promesse, Genova ne ha sentite tante.
“Troppe”, concordano i tanti che con i fischietti e i manifesti attraversano il cuore antico della città. Ora, dopo essere rimasti in rispettoso silenzio per quasi due mesi, fanno sentire la loro voce. Con tutte le esigenze, concrete, precise. Di una città ferita, che vuole solo avere una prospettiva di futuro. Negli stessi minuti, in Prefettura, il ministro delle Infrastrutture, Danilo Toninelli, incontra il sindaco, Marco Bucci e il governatore, Giovanni Toti.
Finito l’incontro in prefettura col ministro e la commissaria europea ai Trasporti Bull, il sindaco e il Governatore sono arrivati in piazza De Ferrari, per incontrare rappresentanti del corteo. Sono partiti dei fischi e qualche contestazione, insieme agli slogan. “Venite a viverci voi in Valpolcevera”, urla un anziano, mentre gli altri scandiscono “strade, lavoro, sanità”. L'unità delle prime ore sembra mostrare le prime crepe.
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