«Paolo Vi fece tutto ciò che poteva, per provare ad ottenere la liberazione di Aldo Moro. Ma nella sua prigione arrivarono solo notizie frammentarie sui suoi sforzi». A quarant'anni dalla morte, Papa Montini viene innalzato agli onori degli altari, con la canonizzazione domenica 14 ottobre 2018. E solo ora, dopo quattro decenni dalla morte di entrambi, dagli atti dell'ultima Commissione parlamentare d'inchiesta sul caso Moro presieduta da Giuseppe Fioroni, emergono nuovi dettagli su tutti i tentativi del Vaticano, per ottenere il ritorno alla «libertà, alla sua famiglia e alla vita civile» – come scrisse nella lettera aperta ai brigatisti - dello statista, suo amico fraterno. Il sequestro e l'omicidio di Moro segnò così profondamente Papa Montini, da accelerarne il declino. E portarlo alla morte, tre mesi dopo, il 6 agosto 1978. Dopo aver esplorato anche la strada di un riscatto, di un gesto umanitario e di un canale di comunicazione con le Br. Ma nella “prigione del popolo” ben poco di tutto questo arrivò, come si racconta nella puntata di Storiacce, in onda su Radio24 domenica alle 21.
Giuseppe Fioroni, lei ha presieduto i lavori dell'ultima Commissione parlamentare d'inchiesta Moro 2. Sappiamo come nell'ultima
lettera alla moglie, prima di essere ucciso, il presidente della Dc scriveva: «Il Papa ha fatto pochino. Forse ne avrà scrupolo».
In realtà, oggi emerge un'altra dimensione. Quale ruolo ebbe Paolo VI in quei 55 giorni dal sequestro, in base agli ultimi
elementi?
«Emerge un Paolo VI molto attento e impegnato, con una rete di collaboratori, nel tentativo di salvare Moro. Innanzitutto
con un'ipotesi di riscatto, 10 miliardi di lire. Più testimoni oculari descrivono i soldi, la coperta sotto cui erano nascosti
sul tavolo di Castelgandolo, le fascette, riconducibili ad una banca israeliana e ad un parlamentare magnate israeliano. Abbiamo
riscontri anche nei diari di Giulio Andreotti: gli venne fatta una domanda da ambienti vaticani, sull’affidabilità del parlamentare
israeliano, che mise a disposizione quella somma».
Questa non fu l'unica strada percorsa dal Vaticano. Come racconta anche nel suo saggio, “Moro, il caso non è chiuso. La verità
non detta” (con Maria Antonietta Calabrò, ed Lindau), si esplorò anche l'apertura di un canale di comunicazione.
Un'ipotesi di trattativa, portata avanti con un interlocutore, tramite il cappellano delle carceri. E con la possibilità di
un aggancio con una fonte, che lo avvicinasse alle Br. Con il sospetto che questo interlocutore - ma su questo si sta ancora
indagando- potesse avere qualcosa a che vedere con Alessio Casimirri, che ritroveremo in Nicaragua nel 1983.
Figlio del portavoce di tre Papi, unico del gruppo di fuoco a non aver scontato neanche un giorno di carcere…
E poi c'è una strada, di cui il Vaticano non poteva non essere informato, ed è il gesto umanitario unilaterale. Il presidente
della Repubblica, Giovanni Leone, in un'intervista doveva aprire alla grazia per la brigatista, Paola Besuschio, gravemente
malata. Senza che lei l'avesse chiesta. L'avrebbe firmata dopo mezzogiorno, quel 9 maggio. Abbiamo individuato il maggiore
dei carabinieri, chiamato a verificare la disponibilità della brigatista a chiedere prima la grazia.
Ma poi arrivò quella telefonata a casa del professor Tritto, con l'annuncio su dove ritrovare il corpo di Aldo Moro. Ma cosa
seppe il presidente della Dc dei tentativi del Vaticano?
Credo gli arrivassero solo notizie frammentarie, perché parte delle Br, quella parte meno propensa ad una liberazione, non
riportava della trattativa umanitaria ed economica in atto. E probabilmente, all'altra parte non arrivò la notizia dell'ipotesi
del gesto umanitario, mentre all'altra corrente arrivò. E presero provvedimenti.
Con un'accelerazione sull'esecuzione di Aldo Moro, il 9 maggio 1978.
Paolo VI, il Papa dell'enciclica Humane Vitae, condivideva, tra l'altro, con Moro, quella formazione che metteva la persona
prima di tutto. Così, con questo principio, Moro iniziò anche la sua prima lezione universitaria, nel novembre '41. E sulla
base di questo principio, vanno lette anche le lettere di Moro.
“I Racconti di Storiacce”, ogni domenica alle 21 su Radio24.
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