«Nella nomina di Renato Marra, il fratello Raffaele non ha avuto alcun potere decisionale. Si è limitato ad eseguire una mia
direttiva nell’ambito della
procedura di interpello per i nuovi dirigenti. Il suo fu un ruolo compilativo». Si difende così dall’accusa di falso la prima
cittadina di Roma, la pentastellata Virginia Raggi, alla sbarra degli imputati con l’ipotesi di aver mentito all’ufficio Anticorruzione
del Comune di Roma. La Raggi ha detto che la nomina di Renato Marra, alla Direzione Turismo della Capitale, era stata una
sua scelta. In realtà, ritengono i pm, quell’assunzione fu decisa da Raffaele Marra, l’eminenza grigia.
«Marra eseguì una mia direttiva»
La Raggi ieri è stata sottoposta a interrogatorio nel corso del processo dibattimentale. Ha spiegato che «Raffaele Marra non
aveva potere decisionale. Lui si limitava solo a firmare un atto e dunque secondo me non era necessario si astenesse». Una
ricostruzione, quella della sindaca, collegata a quanto scrisse nella lettera alla responsabile Anticorruzione del Campidoglio
che aveva recepito una segnalazione dell’Anac. «In quella nomina non c’erano anomalie - ha aggiunto Raggi -. Marra ha pedissequamente
ratificato le mie decisioni». La sindaca ha aggiunto che «anche oggi riscriverebbe la stessa cosa all’Anticorruzione» anche
se ha ammesso di avere saputo solo dopo, «quando sono stata interrogata in procura, della riunione fra l’ex assessore Adriano
Meloni, il responsabile del personale Antonio De Santis e Raffaele Marra in cui quest’ultimo fece il nome del fratello Renato».
«Devo dire però che Meloni si prese subito la paternità della scelta di Renato Marra e la difese anche dopo che il caso finì
all’attenzione della stampa».
«Non ho difeso quella nomina»
La Raggi ha aggiunto che «non mi sento di dire che ho difeso quella nomina (di Renato Marra, ndr). Di pancia se avessi potuto
l’avrei revocata». Ha spiegato anche che «questa nomina l’ho ingoiata».
© Riproduzione riservata