«Saranno delle cattedre speciali» destinate ogni anno a 500 super-cervelli per un «Paese più orgoglioso». Cosi l’ex premier Matteo Renzi alla fine del 2015 presentò in pompa magna il suo progetto per la chiamata diretta all’università di professori con curriculum internazionali: in manovra spuntarano 75 milioni l’anno da destinare a un Fondo intitolato al nostro ultimo premio Nobel per la Chimica, Giulio Natta. Ma le «Cattedre Natta» da allora non sono mai decollate, anche perché a remare contro ci si è messo gran parte del mondo accademico contrario a una “corsia preferenziale” per questi super-professori. E ora la prima manovra del Governo giallo-verde ha deciso di cancellarle per sempre.
GUARDA IL VIDEO - Il Governo cancella le «Cattedre Natta»: addio ai 500 supercervelli
Il Fondo per le «Cattedre Natta» è stato introdotto tre anni fa dalla manovra 2016 per finanziare ogni anno 500 chiamate dirette dei migliori cervelli dall'estero o dall'Italia. Ma la sua attuazione è stata molto travagliata tra l’alzata di scudi del mondo accademico contrario a un percorso straordinario per accedere alla cattedra rispetto all'iter normale (abilitazione e poi concorso locale) e una bocciatura del decreto attuativo del Consiglio di Stato. Già l'anno scorso nella legge di bilancio - targata Pd - l'Esecutivo di allora aveva cominciato a svuotare il Fondo di parte delle risorse per ristorare in parte i professori del blocco degli anni passati degli scatti di stipendio.
Ora il nuovo Governo giallo-verde ha deciso di andare più a fondo abolendole: nella bozza di manovra che l'Esecutivo sta per presentare in Parlamento si legge infatti che «All'articolo 1 della legge 28 dicembre 2015, n. 208, i commi dal 207 al 212 sono abrogati». Si tratta delle norme della manovra di tre anni fa che disegnarono questa misura che ora finisce sotto il colpo di spugna del nuovo Governo.
GUARDA IL VIDEO - Manovra, terreni gratis con il terzo figlio in arrivo
Le Cattedre Natta volevano segnare una inversione di tendenza al fatto che finora le procedure messe in campo in passato per chiamare docenti dall'estero hanno funzionato poco e male . Sono almeno tre le procedure attualmente in vigore per le chiamate dirette: una prevista dalla legge Moratti (la 230/2005), che prevede comunque l'ottenimento dell'abilitazione italiana, la seconda - una sorta di chiamata “direttissima” - destinata ai vincitori di grandi progetti di ricerca di rilievo europeo o nazionale (senza abilitazione) e infine le chiamate per chiara fama a cui però le università hanno fatto poco ricorso. I numeri sulla bassa attrattività della nostra università del resto sono impietosi: in Italia - secondo i dati Miur - ci sono solo 99 docenti ordinari stranieri e 198 associati che vengono dall'estero. A cui si aggiungono circa 1.300 prof stranieri a contratto (l'unica via per evitare la burocrazia per accedere alla cattedra). In pratica meno del 3% di chi insegna in Italia viene da un altro Paese. Numeri che fanno il paio con la presenza di studenti stranieri che sono meno del 5% di tutti gli iscritti.
GUARDA IL VIDEO - L'Ue boccia la manovra, occhio allo spread
Ma la “corsia preferenziale” ha fatto storcere la bocca a molti professori in cattedra o ai tanti candidati che hanno già superato l’abilitazione e che sperano di poter vincere i pochi concorsi locali che vengono banditi dagli atenei. Tra l’altro dal 2008 le nostre università hanno perso quasi 15mila docenti (oltre il 20%). Da qui il giudizio negativo su queste cattedre speciali - che non passano appunto per il lungo iter (abilitazione e concorso) - vissute dal mondo accademico come un corpo estraneo. A finire nel mirino delle critiche più veementi era anche l’idea di affidare la nomine dei presidenti delle commissioni selezionatrici delle cattedre Natta direttamente agli esperti selezionati da Palazzo Chigi. Qualcuno evocò addirittura i tempi del fascismo quando era il Governo a decidere chi andava in cattedra. Ma le polemiche ora possono finire qui. La norma è stata cancellata. Anche se le risorse non si sa ancora dove finiranno e se saranno recuperate a favore dell’università.
© Riproduzione riservata