La manovra punta a rilanciare gli investimenti per spingere la crescita contro-corrente rispetto alla congiuntura. Ma nelle tabelle su spending e riprogrammazioni di fondi la spesa in conto capitale, cioè proprio quella che finanzia gli investimenti, paga un dazio quadruplo rispetto alle uscite correnti: 1,6 miliardi contro 440 milioni.
Il conto emerge dalle tabelle della relazione tecnica sulla legge di bilancio, che dopo le norme mettono in fila gli effetti finanziari dei tagli e delle revisioni di spesa necessari a far quadrare i conti. Nel decreto fiscale, invece, i ministeri avevano pagato circa 800 milioni, per finanziare le misure di quel provvedimento.
DOCUMENTO 1/Il testo bollinato della Manovra 2019
DOCUMENTO 2/La relazione tecnica
La spesa pubblica si divide in due grandi famiglie. Quella corrente si ripete ogni anno, paga stipendi, pensioni e forniture: serve per far funzionare la macchina pubblica, ma non crea ricchezza futura. A questo obiettivo pensa invece la spesa in conto capitale. La manovra la rilancia in vari modi, con i due fondi per gli investimenti di Pa centrale e locale, la centrale sulla progettazione al Demanio, la cabina di regia «Investitalia» a Palazzo Chigi, la riforma del pareggio di bilancio degli enti locali.
Ma la spesa in conto capitale, a sorpresa, rimane protagonista anche quando si tratta di agire di forbici. Le ambizioni multimiliardarie della spending review nei ministeri si sono raffreddate di settimana in settimana. Alle richieste dei programmi di tagli mandate prima dell’estate dal ministro dell’Economia Tria a tutti i colleghi di governo hanno risposto in pochi, e male.
E all’appuntamento con la prova sul campo delle tabelle le promesse della vigilia si sono tradotte in una cifra ultraleggera: 435 milioni, somma che vale lo 0,05% del bilancio pubblico. Il resto arriva appunto dal conto capitale, che agli oltre a 820 milioni di tagli secchi aggiunge anche 790 milioni di «riprogrammazioni». Di che cosa si tratta? È una vecchia mossa, usata spesso anche dai governi Renzi e Gentiloni, che sposta in avanti i contributi a imprese pubbliche come le Fs. Così i conti tornano, almeno per un anno.
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