L’obiettivo del governo di rilanciare l’economia facendo leva su un ampio programma di investimenti (tra i 5 e i 6 miliardi l’anno nel prossimo triennio) dovrà fare i conti con un ostacolo importate. L’effettiva capacità delle amministrazioni locali di effettuare spese in conto capitale nei tempi e per le dimensioni stabilite. Le ultime performance non sono brillanti. L’anno scorso gli enti territoriali hanno segnato un nuovo record negativo: 25,8 miliardi (-9,8%). Se si guarda il valore in rapporto al Pil (1,5%), siamo ai minimi degli ultimi quarant’anni, la metà dei livelli pre-crisi.
La manovra taglia gli investimenti 4 volte di più della spesa corrente
È quanto rivela la Banca d’Italia nella pubblicazione «L’economia delle regioni italiane», diffusa oggi in veste rinnovata. Molteplici del cause di questa debolezza: hanno pesato sicuramente i costi di adattamento alla riforma del Codice degli appalti ma, anche, la nuova contabilità armonizzata degli enti decentrati, a partire dall’applicazione della regola del pareggio di Bilancio.
Il ritardo viene da lontano
L’analisi di Bankitalia è focalizzata sulla spesa dei comuni e non tiene dunque in considerazione quella sanitaria. Ne risulta che le nuove regole dell’equilibrio di bilancio che hanno preso il posto del Patto di stabilità interno non hanno liberato capacità effettiva di spesa per investimenti sia al Sud, dove le compensazioni sono state per lo più utilizzate per coprire vecchi disavanzi, sia nelle Regioni del Nord, dove si è invece concretizzata la difficoltà inversa di poter utilizzare gli avanzi contabili. Problemi che con l’ultimo milleproroghe dovrebbero essere superati dal prossimo anno.
Il ritardo da colmare viene da lontano. Negli ultimi otto anni il calo degli investimenti fissi lordi e dei contributi in conto capitale alle imprese (un aggregato che comprende anche le spese e i trasferimenti fatti da soggetti esterni al perimetro delle Pa locali) è stato del 45%, a 20,7 miliardi, contro i 30,7 miliardi del 2009. Anche gli investimenti in opere pubbliche si sono ridotti di circa un terzo tra il 2011 e il 2016: nel Centro Nord la flessione è stata più forte per le opere ambientali ed energetiche, mentre nel Mezzogiorno il calo è stato maggiore nelle infrastrutture di trasporto e nei progetti di più piccola dimensione.
Dalle spese alle entrate, il rapporto di Bankitalia fotografa gli effetti del calo dei trasferimenti che ha riguardato in particolare le Regioni in connesioni alla stretta sulla spesa sanitaria, mentre le entrate tributarie sono lievemente cresciute, sospinte dall’Irap (+8,9% a 22,2 miliardi) e dalle imposte regionali e provinciali sugli autoveicoli (+5,9% a 10,7 miliardi). Su questo fronte la distanza tra macro-regioni è tutta legata alle basi imponibili: maggiori nelle Regioni del Nord, più esigue nel Centro e nel Sud.
I cittadini del Sud pagano di più
Dal 2016 la facoltà delle amministrazioni locali di aumentare i tributi propri è stata bloccata tranne per le tasse dovute per finanziare il servizio rifiuti. Risultato: negli ultimi anni il peso di questo prelievo è cresciuto di più dove è maggiore il costo del servizio, ovvero nei capoluoghi delle province del Centro, quelli meridionali e delle isole. Dove gli impanti di smaltimento sono minori, meno efficienti o più lontani, o dove sono decollati con meno velocità gestioni consortili o tramite Unioni di Comuni, le tasse rifiuti sono state più salate.
Lo scorso anno nei comuni del Sud e in quelli del Centro si è arrivati, rispettivamente, fino a 377 e 346 euro per una famiglia di tre persone residente in un’abitazione di 100 metri quadrati. Nei comuni del Nord-orientali ci si è invece fermati su medie molto più basse (260 euro circa per la stesa tipologia di nucleo).
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