L'obiettivo è chiaro, le strade per arrivarci non tanto. Per capire che l'abolizione del numero chiuso per l'accesso alla facoltà di medicina sia una priorità del Governo giallo verde basta scorrere le cronache. Segnali inequivocabili sono il Dm Istruzione che a giugno ha fissato le quote per i corsi di laurea ad accesso programmato (+800 posti per Medicina). O gli annunci di fine estate della ministra della Salute Grillo pro cancellazione dei test di ingresso a medicina a vantaggio del “modello francese” (ammissione per tutti al primo anno e sbarramento ex post sulla base di esami e crediti). E la successiva accelerazione del vicepremier Salvini: «Metterei il numero chiuso nelle facoltà umanistiche, da dove ne sono usciti tanti di laureati. Ma a medicina c'è bisogno di ossigeno».
Il pasticcio dell’«obiettivo di medio periodo»
Tutto, insomma, conferma che il «superamento» del numero chiuso per gli studenti di medicina è vicino, nonostante le resistenze del mondo accademico e universitario, e il pasticcio politico di metà ottobre. Annunciato in un comunicato del Consiglio dei ministri come misura da inserire nella legge di Bilancio, lo stop al numero programmato è stato prima “non confermato” con nota ufficiale dei ministri di Università e Salute («è
un auspicio condiviso da tutte le forze di maggioranza che il Governo intende onorare»), poi trasformato dal premier Conte
(altro comunicato) in un «obiettivo politico di medio periodo» che «potrà prevedere un percorso graduale di aumento dei posti
disponibili, fino al superamento del numero chiuso».
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Vista la confusione che sul tema regna a palazzo Chigi, per capire le soluzioni in cantiere molto meglio accendere un faro sul Parlamento, che proprio in questi giorni - manovra permettendo - potrebbe avviare l'esame di un pacchetto di proposte di legge sul tema numero chiuso per la facoltà di medicina. Sul tavolo della commissione Cultura di Montecitorio ci sono (già assegnati in sede referente, ma sulla calendarizzazione deciderà l'ufficio di presidenza convocato per mercoledì 7 novembre) ben quattro proposte: del vicepresidente della Camera ed esponente di Fratelli d'Italia Fabio Rampelli (AC 334); del Consiglio regionale del Veneto (AC 612), del deputato della Lega Paolo Tiramani (AC 1162); e del capogruppo M5S Francesco D'Uva (812).
Stop alla legge 264/1999
Le prime due proposte puntano all'abrogazione tout court, a partire dal prossimo anno accademico, della legge 2 agosto 1999,
n. 264 che disciplina gli accessi a numero programmato ai corsi universitari. Le Pdl messa in campo da Lega e M5S vanno oltre.
Tiramani suggerisce in particolare di introdurre nell'ordinamento universitario italiano «meccanismi selettivi meritocratici
durante il primo anno di corso di studi, tenendo comunque conto di situazioni particolari che possano impedire o limitare
lo studente nel sostenere tutti gli esami richiesti per evitare la decadenza dall'iscrizione al corso di studi». I «meccanismi
selettivi» previsti si basano sull'individuazione «di quote minime di esami di profitto da superare durante il primo anno
di corso». Per gli inadempienti scatta la decadenza dall'iscrizione, con deroghe per studenti lavoratori, eventuali familiari
a carico e «impossibilità di sostenere gli esami» certificata dall'Usl. La proposta di legge - specifica la relazione - «costituisce
la base per una riforma più ampia che dovrà riguardare le scuole di specializzazione e il conferimento delle borse di studio».
Per il M5S “modello francese” e diritto alla specializzazione
Più complessa la proposta D'Uva (9 articoli). Oltre all'abrogazione della legge n. 264 del 1999, l'obiettivo è l'adozione del modello di selezione degli studenti già adottato dalle università di molti Paesi europei (Francia
in testa), che dà la possibilità di «valutare l'effettiva attitudine dello studente a frequentare una determinata area di studi solo
dopo che a questi sia stata data la reale possibilità di confrontarsi con le specifiche materie oggetto del corso». In pratica,
libero accesso, senza test, per tutti gli aspiranti medici ai corsi di laurea dell'area sanitaria, con il primo anno di studi
comune a medicina, farmacia e odontoiatria. Al termine, «test di verifica» per l'ammissione agli anni successivi, da superare
con un punteggio minimo d'accesso «per un limite massimo di posti pari al fabbisogno del Servizio sanitario nazionale». L'articolo
6 regola prevede invece il «diritto per tutti gli studenti regolarmente iscritti ai corsi di laurea di area medica a numero
programmato di ottenere l'accesso ai corsi di specializzazione universitaria per le corrispondenti discipline e aree di studio,
anche qualora questo comporti nuovi oneri a carico del bilancio dello Stato».
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