La crisi finanziaria causata dalle banche americane nel 2007-2008 ha avviato il decennio peggiore della storia economica dell’Italia repubblicana. Ma mentre la produzione industriale, i consumi e il Pil hanno subito tagli che non si rimarginano, le esportazioni italiane hanno continuato a crescere. Nel corso dello stesso decennio, la digitalizzazione dei mercati e delle abitudini dei consumatori si è realizzata e, dopo la presentazione dell’iPhone, nel 2007, è partita la crescita esponenziale dell’internet mobile, sicché la tecnologia digitale ha conquistato la vita quotidiana di miliardi di persone e il commercio elettronico è diventato centrale nel sistema degli scambi: e persino in Italia è cresciuto impetuosamente, dai 6,4 miliardi di fatturato del 2008 ai 35 miliardi del 2017, secondo Casaleggio Associati. Per eCommerce News il mercato italiano del commercio elettronico è tra quelli che crescono di più in Europa occidentale. Negli ultimi cinque-dieci anni, inoltre, una riorganizzazione del sistema manifatturiero è partita in Germania, per diffondersi anche all’Italia, che ne ha cavalcato nell’ultimo anno e mezzo le dinamiche con una policy orientata agli investimenti nel quadro della strategia “industria 4.0».
I tre fenomeni sono profondamente collegati. Ma solo per chi è riuscito a cogliere le opportunità. In effetti, nello stesso decennio, si è verificata una polarizzazione. Una parte delle imprese italiane si è trovata nel gorgo della crisi, mentre un’altra parte è riuscita a cavalcare la spinta del commercio internazionale, la forza della digitalizzazione e l’innovazione manifatturiera.
Difficile separare le tre questioni, appunto. E per motivi molto concreti. La crescita della domanda mondiale che ha sostenuto anche le esportazioni delle imprese italiane si è manifestata in una forma esigente sul piano organizzativo. Non si vendeva facilmente la componentistica in Germania o i prodotti made in Italy in America e Asia senza tener conto delle forme pratiche della digitalizzazione e dei cambiamenti organizzativi delle linee produttive o dei sistemi di distribuzione.
Le esportazioni oggi avvengono sempre più chiaramente nel quadro logistico e informativo che Gartner chiama “digital business” nella sua nuova forma del “continuousNext”, il cambiamento continuo. E, d’altra parte, la digitalizzazione non è soltanto una precondizione necessaria per realizzare vendite nel contesto internazionale, ma contribuisce a favorirne l’ulteriore crescita abituando le imprese a cercare e cogliere le opportunità che si presentano sui mercati globali: non è più la prossimità dei distretti industriali che organizza la vita delle piccole e medie imprese italiane, ma la vicinanza informativa resa possibile dalle forme operative che accomunano le imprese di ogni paese che adottino strutture digitali simili. L’esperienza dell’Enterprise Europe Network, che supporta le piccole imprese nelle loro operazioni di internazionalizzazione, raccolta nel recente SME Outlook 2018-19, mostra come le piccole e medie imprese che si internazionalizzano aumentano il fatturato (nel 63% dei casi), si aspettano di aumentare i dipendenti (33%) e la quota di mercato (54%). E quindi investono, innovano, competono. Sviluppando la mentalità per riuscirci. La digitalizzazione e l’internazionalizzazione alimentano una sorta di apprendimento continuo per le imprese.
L’elemento culturale è decisivo. Non è detto, purtroppo, che le imprese che crescono in Italia siano in grado di trascinare nella loro positiva dinamica le altre imprese. Se lo fanno, probabilmente, questo avviene attraverso le logiche di filiera della subfornitura oppure per via di emulazione culturale e organizzativa. L’apertura e l’energia che servono per riuscire in una trasformazione di queste proporzioni non possono che essere ricercate nelle motivazioni di fondo delle imprese: non solo il profitto, ma anche la responsabilità sociale, ambientale, culturale. Se tutti questi fenomeni davvero si allineano, allora la crescita di alcune imprese si trasforma in leadership. E la crisi diventa sviluppo.
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