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Dossier Negozi fatti per emozionare

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    Dossier | N. 53 articoliEcco le 350 magnifiche Pmi della classifica italiana

    Negozi fatti per emozionare

    A Milano. Negozio Woolrich: accanto allo spazio per la vendita dei famosi parka e degli accessori, anche un’area curata da un flower designer giapponese per la vendita di piante particolari
    A Milano. Negozio Woolrich: accanto allo spazio per la vendita dei famosi parka e degli accessori, anche un’area curata da un flower designer giapponese per la vendita di piante particolari

    Sostenibilità, integrazione tra mondo reale e digitale, multicanalità e qualità della shopping experience: sono i temi intorno ai quali si concentra l’attuale dibattito sul retail della moda e del lusso. Temi che si intersecano e forse la formula vincente, se esiste, è proprio il risultato di un sapiente mix. I negozi fisici di maggior successo – misurabile in ingressi, vendite, scontrini medi e interazioni con i social network e l’e-commerce – sono quelli che sorprendono per format, offerta, servizio e che, specie per i Millennial, possono dimostrare di essere stati pensati e costruiti secondo criteri di architettura sostenibile.

    Sulla carta sembra facile, ovviamente non lo è: chi, fino a poco tempo fa, metteva a punto un unico format da applicare a ogni città e Paese sta facendo marcia indietro. Ogni negozio deve avere una personalità quanto più coerente con la location e il mercato in cui è inserito. Questo significa moltiplicare gli sforzi creativi, rivolgersi a studi di architettura diversi e coinvolgere attivamente personalità di settore esterni alla moda, artisti in primis.

    Poi c’è l’esperienza in negozio: più dell’assortimento, dove la competizione con una vetrina online è persa in partenza, conta quello che si può offrire solo nel mondo reale. Negozi di abbigliamento che hanno spazi verdi; salottini privati dove i bambini possono essere accuditi; zone in cui bere o mangiare qualcosa (in questo caso però la formula prevede un’area separata, non devono sentirsi odori strani o estranei quando si provano abiti, scarpe o gioielli); mini biblioteche con poltrone dove leggere comodamente magari mentre si aspetta qualcuno che fa shopping ”attivo”. Nei negozi che, per definizione e in alcuni periodi, hanno lunghe code alla cassa c’è persino chi si spinge a offrire “corsi lampo” di yoga o meditazione.

    Non c’è limite alla fantasia e alla creatività di chi deve inventarsi o gestire un negozio. Non è più solo un tema legato al lusso: anche chi acquista in una catena del fast fashion ha bisogno di una ragione per entrare in un negozio anziché fare shopping online. In questo caso la leva più interessante è il servizio: siamo abituati a pensare che, proprio perché il segmento è la moda accessibile, il cliente debba fare da sé. Non è più così: il personale deve essere cortese, preparato, pronto a offrire consulenza. Occorre offrire a tutti gli addetti un training simile se non proprio uguale a quello dei negozi di alta gamma. E, forse ancora più che nel lusso, garantire la multicanalità: si può comprare online e ritirare in negozio. Oppure ordinare nel mondo reale la taglia che non si trova e farsela recapitare a casa. O ancora: usare un camerino virtuale per abbinare prodotti senza necessariamente doverseli provare tutti.

    Vale ancora la regola più antica del mondo: mettere il cliente al centro di tutto, usando le comunicazione su smartphone o sui social network in modo costante, coerente, non però invasivo. Gli eventi in negozio funzionano sempre di più, ma vanno ovviamente programmati e dosati con cura. In una boutique del quadrilatero può essere una degustazione di vini, in un megastore del fast fashion la presentazione di un disco di un cantante. Lo scopo è il medesimo: dare una buona ragione per staccarsi dallo schermo di un telefono o di un pc e riscoprire il piacere dei sensi e delle emozioni.

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