Economia

Dossier Vincono le Pmi ribelli e ambiziose

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    Dossier | N. 53 articoliEcco le 350 magnifiche Pmi della classifica italiana

    Vincono le Pmi ribelli e ambiziose

    La best practice del Brunello. Un prodotto “local” che spesso batte i colossi internazionali per gradimento è il Brunello di Montalcino (nella foto, la cantina Caparzo di Elisabetta Gnudi Angelini)
    La best practice del Brunello. Un prodotto “local” che spesso batte i colossi internazionali per gradimento è il Brunello di Montalcino (nella foto, la cantina Caparzo di Elisabetta Gnudi Angelini)

    In un mondo sempre più global, con aziende di grandi dimensioni e importanti vantaggi di scala, come può vincere la sfida un piccolo produttore locale italiano, forte solo dei suoi prodotti tipici? Può farcela, perché è per definizione un insurgent, un “ribelle”, con la missione di servire un consumatore insoddisfatto, soprattutto attraverso la superiore qualità del prodotto. Proprio grazie a questa intraprendenza, il nostro Paese è pieno di iniziative locali di successo.

    Il “saper fare” italiano divenuto modello di riferimento a livello mondiale deve le ragioni della sua affermazione in quella qualità di prodotto radicata nei tanti distretti italiani ad alta specializzazione e nella capacità di evocare nel consumatore estero un insieme di valori positivi (come bellezza, arte, cultura e tradizione), consentendo un posizionamento dell’industria italiana nella fascia alta di mercato. La possibilità di affermarsi delle nostre Pmi diviene di conseguenza ancor più vera nei settori dove i prodotti italiani hanno un vissuto di eccellenza: sono le filiere forti del made in Italy, ma è anche progettazione e ingegnerizzazione del bello, è creatività, arte, cultura, design e architettura.

    In questo scenario il local può battere il global e l’imprenditoria italiana può trovare uno spazio di mercato dove giocare un ruolo. Tuttavia per potersi affermare, dopo aver innovato e creato un prodotto eccellente, l’imprenditore italiano deve obbligatoriamente cercare la via della scala dimensionale, sviluppando il percorso di crescita sui mercati esteri.

    Specchio di questa situazione è l’alimentare. Per definizione la cucina italiana è riconosciuta come un’eccellenza a livello mondiale. Tuttavia l’export alimentare, pur raggiungendo negli ultimi anni crescite record, è, in termini di quota di mercato globale, inferiore a paesi come Germania e Francia: l’Italia esporta circa il 25% della produzione agro alimentare, contro il 35% della Germania. Eppure ha 295 prodotti certificati a livello internazionale (Dop, Igp, Stg), dati Ismea 2017, contro i circa 90 tedeschi.

    Se pensiamo al mondo dei servizi e quindi alla ristorazione, ben sappiamo che il mondo è pieno di ristoranti italiani, ma non esiste una catena di ristorazione tricolore a livello mondiale. Addirittura la pizza è stata portata nel mondo da catene di ristorazione americane. L’Italia è piena di aziende nel settore alimentare, ma il 90% è composto da Pmi, con un fatturato medio inferiore ai 10 milioni. Molte di queste sono aziende eccellenti, capaci di crescere a tassi rilevanti. Ma non è sufficiente. Occorre creare le basi per un salto dimensionale che eviti alle aziende italiane, una volta raggiunta la soglia della dimensione media, di diventare oggetto di acquisizione da parte di player globali: è necessario che le eccellenze di oggi diventino le multinazionali di domani. La realtà local del piccolo produttore può facilmente battere il global, perché essendo un insurgent è capace di cambiare le regole del gioco, ma non deve accontentarsi di vincere qualche partita: deve avere l’ambizione di vincere il campionato.

    L’autore è Partner di Bain & Company Italy

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