Dopo Roma, Napoli. Matteo Salvini invade un altro territorio Cinque Stelle. Se nella Capitale ha gioco facile a brandire l’arma della sicurezza, nel capoluogo campano sposta l’asse anche sul fronte rifiuti. Prospetta il rischio di un «disastro ambientale», di «un’emergenza sanitaria e sociale», ma soprattutto propone la sua ricetta opposta a quella dei Cinque Stelle: «Occorre il coraggio di dire che serve un termovalorizzatore per ogni provincia perché se produci i rifiuti li devi smaltire». Davanti alle durissime repliche di Luigi Di Maio e dei Cinque Stelle, è il premier Giuseppe Conte a intervenire per dare il segnale di una mossa unitaria dei gialloverdi. La prova plastica di ricucitura sarà lunedì a Caserta, quando in prefettura firmerà il protocollo d’intesa per un’azione urgente nella Terra dei fuochi con ben quattro ministri M5S: Sergio Costa (Ambiente), Alfonso Bonafede (Giustizia), Elisabetta Trenta (Difesa) e Barbara Lezzi (Sud).
Reazione M5S nervosa
Di fronte alle parole di Salvini, ripetute anche oggi («I termovalorizzatori li faremo»), è stata corale la levata di scudi
del M5S, storicamente contrario agli inceneritori, costati al sindaco di Parma Federico Pizzarotti la prima rottura con
il Movimento. Comincia il vicepremier Luigi Di Maio con parole durissime che tradiscono tutto il nervosismo per l’invasione
di campo: «Quando si viene in Campania si deve tener presente la sua storia. La terra dei fuochi è un disastro legato ai rifiuti
industriali (provenienti da tutta Italia) non a quelli domestici. Quindi gli inceneritori non c’entrano una beneamata ceppa
e tra l’altro non sono nel contratto di governo».
Fico e gli “sconfinamenti” del Viminale
A stretto giro interviene il ministro dell’Ambiente Sergio Costa, secondo cui «Salvini ha detto qualcosa di provocatorio:
quando arriva l’inceneritore o il termovalorizzatore il ciclo dei rifiuti è fallito. Riduzione, riuso, recupero, riciclo,
sono le quattro R che devono diventare un mantra per tutti». È il manifesto M5S, tentato anche a Roma con scarso successo.
Il presidente della Camera Roberto Fico pungola il ministro dell’Interno: «Oggi c’è un’emergenza in Campania, quella degli
incendi negli impianti, ed è lì che il Viminale ha una responsabilità importante che sono certo saprà fronteggiare molto meglio
di come ha fatto finora». Come a dire: Salvini non sconfini.
Salvini: «Sono per costruire e non per i no»
Ma il numero uno della Lega, tornato a Napoli come promesso per presiedere di nuovo il Comitato per l’ordine e la sicurezza
e informato dell’emergenza legata al termovalorizzatore di Acerra prossimo a una manutenzione che ne bloccherà l’attività,
non demorde e tra una stoccata e l’altra al sindaco Luigi De Magistris replica a Di Maio tirando in ballo la criminalità
organizzata: «Io sono per costruire e non per i no. Questo vale soprattutto per gli enti locali, penso a tutti quei sindaci
e alla stessa Regione Campania che ha sempre detto no, no, no e con i rifiuti cosa facciamo? Li facciamo gestire alla camorra?».
Scontata la replica di Di Maio che ricorda al suo pari grado nel Governo come proprio « la camorra ha investito sul business
degli inceneritori: questo è il passato che non vogliamo più». A dargli manforte il neopresidente della commissione parlamentare
Antimafia, Nicola Morra, che preannuncia un’indagine insieme alla commissione d’inchiesta sui rifiuti per fare luce sui «legami
e intrecci perversi che avvelenano la vita delle persone».
GUARDA IL VIDEO: Per i rifiuti, una rete di termovalorizzatori nelle grandi città
Fronti di scontro in crescita
Quello andato in scena ieri è il primo vero scontro pubblico tra i due alleati dall’inizio dell’avventura gialloverde, peraltro
a poche ore dal vertice serale a Palazzo Chigi sul dossier Bcc. Dopo il caso della “manina” ventilata da Di Maio sul condono fiscale, che per prima ha spezzato l’idillio tra i due leader, sono aumentati i terreni di divisione. Che si riflettono nella fatica di comporre i singoli provvedimenti e di assicurarne una navigazione tranquilla in Parlamento.
Il sofferto via libera ieri al decreto Genova ne è la riprova, come le liti nelle commissioni alla Camera sul Ddl anticorruzione.
Nei corridoi dei palazzi la domanda ricorrente che serpeggia tra i capannelli di leghisti e Cinque Stelle, separati e diffidenti,
è la stessa: «E sulla manovra che cosa succederà?».
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