Da 19 erano già scesi a 18, complice la presa di distanza di Luigi Iovino dalla lettera inviata ieri al capogruppo Francesco D’Uva sul decreto sicurezza. Adesso i deputati pentastellati fanno retromarcia esplicita: «Non chiamateci dissidenti. Abbiamo soltanto chiesto un dialogo più proficuo, ma ribadiamo che non è nostra intenzione complicare gli equilibri di governo». Il compromesso raggiunto è rappresentato da cinque emendamenti targati M5S (su 600 totali depositati stamattina alla scadenza in commissione Affari costituzionali), considerati “simbolici”. Nessuno firmato dai 18. Una testimonianza delle perplessità sul testo, ma nulla che lasci presagire incidenti per l’approvazione.
D’altronde, il vicepremier leghista stamane è stato netto: «Il Dl sicurezza serve al Paese e passerà entro il 3 dicembre oppure salta tutto. Mi rifiuto di pensare che qualcuno voglia tornare indietro». Quel “salta tutto” era stato letto come la minaccia di far cadere il Governo, ma in realtà è stato lo stesso ministro dell’Interno a chiarire: «Il problema non si pone, si approva, ne sono sicuro». Anche perché l’ipotesi fiducia, quando il Dl arriverà in Aula il 23 novembre, prende quota di ora in ora. Il premier Giuseppe Conte ha assicurato: «Sarà messa solo se necessario, ma al momento non è all’ordine del giorno».
Il numero uno del Movimento, Luigi Di Maio, ha sdrammatizzato: «Molti di quelli che avevano sottoscritto quella richiesta si stanno sfilando perché non vogliono mettere in difficoltà il Governo, mi stanno scrivendo in molti». E ancora: «la mia parola è una: se io e tutti ministri M5s abbiamo votato quel decreto in Consiglio dei ministri, quel decreto si deve votare fino alla fine. Modificarlo alla Camera significa non convertirlo e se non lo si vuole convertire si deve dirlo perché a quel punto io non sono d’accordo. Si deve essere tranquilli perché il decreto passerà come è passato il Dl Genova e come è passato lo stesso Dl sicurezza al Senato».
Restano i malumori striscianti, e la volontà che agli atti ne resti traccia. Si tratta delle «forti perplessità» di cui ha parlato il presidente della I commissione, Giuseppe Brescia, pur non presentando emendamenti per lealtà verso la maggioranza e il patto di governo. Brescia cita «il ridimensionamento dello Sprar e la mancata tutela a chi potrebbe subire trattamenti disumani e degradanti, punti a cui alcuni emendamenti presentati dai colleghi M5S danno risposta». Ma nessuno si illude che possano avere chance e si vocifera già di un accantonamento. Anche se potrebbero rappresentare un’arma di pressione nel caso in cui la Lega facesse muro sull’altro provvedimento caro ai Cinque Stelle: il disegno di legge anticorruzione, che contiene la riforma della prescrizione (seppur postdatata al 2020) e le norme sulla trasparenza ai partiti. È all’esame dell’Aula. E il Movimento ha fatto chiaramente capire, dopo le scintille nelle commissioni, che non sono gradite sorprese.
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