Dal 2000 a oggi sono 3.100 le donne uccise in Italia, più di 3 alla settimana, nel 77% dei casi vittime di un familiare e nel 92% di un uomo. Lo dicono i dati Eures, secondo i quali solo da gennaio a ottobre di quest’anno i femminicidi sono stati 70. Tante anche le donne che hanno chiesto aiuto ai centri anti violenza: quasi 50 mila nel 2017, dice l’Istat, e di queste oltre 29mila hanno iniziato un percorso di uscita dagli abusi. Questi i terribili numeri contro i quali migliaia di donne sono scese oggi in piazza a Roma per la manifestazione nazionale contro la violenza, al grido di “Non una di meno”. Tra le sigle presenti anche la Casa delle Donne Internazionale, molti collettivi della sinistra e una delegazione dell’Anpi.
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Il corteo si svolge alla vigilia della Giornata internazionale Onu contro gli abusi sulle donne che si celebra domani. Ma la mobilitazione è già partita nei giorni scorsi sui social con la campagna #nonènormalechesianormale lanciata dalla Camera dei deputatie dalla sua vicepresidente Mara Carfagna. Un’iniziativa alla quale hanno aderito in tanti tra personaggi del mondo dello spettacolo, giornalisti, esponenti politici come la ministra della Salute, Giulia Grillo, e l’Ambasciata americana in Italia.
Un monito è arrivato anche dai vescovi della Cei: «Chi maltratta una donna rinnega le proprie radici perché la donna è fonte e sorgente della maternità», «è una specie di sacrilegio» ha detto il cardinale Gualtiero Bassetti, presidente Cei, sottolineando che la violenza contro le donne «sta diventando sempre più un'emergenza anche a livello nazionale che va combattuta a vari livelli».
Centri anti violenza: i numeri
Delle 49.152 donne che lo scorso anno si sono rivolte ai centri anti violenza il 26,9% è straniera e il 63,7% ha figli, che sono minorenni in più del 70% dei casi. Lo dice l’Istat nella prima indagine sui servizi offerti dai 281 centri attivi in Italia, realizzata in collaborazione con il Dipartimento Pari
opportunità, le regioni e il Cnr. Il numero medio di donne prese in carico dalle strutture (115,5) è massimo al Nord-est (170,9) e minimo
al Sud (47,5). La maggior parte dei centri, l’85,8%, lavora in rete con altri enti della rete territoriale e quasi tutti,
il 95,3%, aderiscono al numero verde nazionale 1522 contro la violenza e lo stalking.
La possibilità di contattare il centro antiviolenza da parte delle donne è elevata: il 68,8% ha messo a disposizione una reperibilità 24 ore su 24, il 71,1% ha attivato un servizio di segreteria telefonica negli orari di chiusura e il 24,5% possiede un numero verde dedicato.
Operatrici volontarie
Secondo l’Istat, sono circa 4.400 le operatrici che nel 2017 hanno lavorato presso i centri antiviolenza, di queste il 56,1%
è stato impegnato esclusivamente in forma volontaria. Le figure professionali che sono maggiormente presenti nei centri, coerentemente con i servizi prestati - che vanno dall’ascolto e accoglienza, al supporto legale e psicologico, all’aiuto nel percorso di allontanamento dal partner
violento, fino all’orientamento lavorativo - sono le avvocate, le psicologhe e le operatrici di accoglienza.
Il 93% dei Centri antiviolenza prevede una formazione obbligatoria per le operatrici che sono impegnate presso il centro,
mentre nell’85% dei casi è il centro stesso che ha organizzato corsi di formazione per il personale.
Carfagna lancia campagna sui social: «Nel contratto di governo non c’è traccia di politiche antiviolenza»
«Serve che l'esecutivo operi un cambio di direzione: ho letto il contratto di governo e non c'è traccia di politiche antiviolenza
in favore delle donne». Lo ha detto la vicepresidente della Camera e deputata di Fi, Mara Carfagna, presentando nei giorni
scorsi la campagna “Non è normale che sia normale” contro violenza e femminicidi , con un video in cui con un rossetto
si fa un segno sotto l’occhio. La deputata ha invitato tutti a fare lo stesso simbolico gesto di denuncia e postarla sui social con l’hashtag #nonènormalechesianormale.
I fondi antiviolenza «sono pochi e fermi a causa della burocrazia», denuncia Carfagna, spiegando che oltre alle «campagne
di comunicazione» è necessario il «potenziamento dei centri anti violenza» e «leggi più severe». E annunciando di aver presentato
una proposta per «garantire più fondi alle famiglie affidatarie di orfani di femminicidio». Dal canto suo, il governo nei giorni scorsi ha fatto sapere di star lavorando a un Piano antiviolenza che potrà contare su un budget di 20 milioni di euro.
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