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MANOVRA

Tagli all’editoria, la proposta M5S va avanti (e apre a blog e piattaforme web)

Il piano del Movimento 5 Stelle per l’abolizione del finanziamento pubblico dell’editoria va avanti. L’emendamento alla legge di Bilancio presentato da Adriano Varrica (M5S) è tra le proposte di modifica “segnalate”, vale a dire all’attenzione del governo tra le settecento complessive su cui il Parlamento sarà chiamato a votare. Non solo: il testo, a quanto risulta al Sole 24 Ore, è in una posizione di visibilità “speciale”, perché tra quelli di maggiore interesse politico. Sul tema dovrà esercitarsi ora la trattativa tra le due forze che sostengono l’esecutivo: da una parte il M5S che considera l’intervento uno dei propri cavalli di battaglia (anche se non è stato inserito nel contratto di governo); dall’altra la Lega che finora si è messa di traverso.

I tagli alle radio private con servizio generale
La proposta di Varrica (grillino della prima ora, fondatore del “meet up” di Palermo) è il primo, drastico passo verso il definitivo azzeramento del sostegno dello Stato all’editoria: scatterebbe dal 1° gennaio 2020 e assicurerebbe un risparmio di 60 milioni di euro nel primo anno e di 30 milioni nel 2021. L’emendamento si presenta come un elenco di abrogazioni: viene cancellata la legge (230/1990) che garantisce contributi alle radio private «che abbiano svolto attività di informazione di interesse generale», definizione dietro la quale si riconosce Radio radicale che nel 2016 ha incassato 4 milioni di euro. Nel nuovo schema pentastellato questi soggetti vengono definitivamente esclusi dal sostegno pubblico.

L’intervento su quotidiani e periodici
C’è poi il capitolo dei contributi diretti a quotidiani e periodici. La “legge Lotti” del 2017 aveva circoscritto la platea dei beneficiari a quattro categorie: quotidiani e periodici di imprese cooperative di giornalisti, testate edite da società senza fini di lucro e giornali delle minoranze linguistiche (nell’elenco compaiono testate come Avvenire, Il Manifesto, Italia Oggi, Il Foglio, Libero); periodici diffusi all’estero; editoria speciale per non vedenti; periodici delle associazioni di consumatori. Il “trattamento” pentastellato riguarda solo la prima categoria: sono rivisti al ribasso i criteri di calcolo con una riduzione del 90% delle somme erogabili e viene fissato per tutti un tetto massimo di 500mila euro.

Taglio al sostegno indiretto e alle minoranze linguistiche
La riforma pentastellata interviene anche sul capitolo dei contributi indiretti alle società editrici: se venisse approvato, l’emendamento Varrica verrebbero cancellate le riduzioni sulle spese sostenute per la telefonia, la connessione dati e il servizio di spedizione delle rese. Ridimensionamento anche per stampa delle minoranze linguistiche: il contributo che ricevono non può essere superiore al 50% dei ricavi della società editoriale. I contributi ai quotidiani in lingua slovena avranno d’ora poi un tetto massimo: 515mila euro. Sopravvive, invece, il contributo per l’Associazione della stampa estera in Italia: la legge del 1953 varata dal governo De Gasperi viene abrogata ma la voce viene trasferita nel Fondo per il pluralismo e l’innovazione.

I nuovi beneficiari
In coda alla lunga pars destrunes, nell’emendamento Varrica trovano spazio nuovi destinatari dei fondi superstiti: è il caso di progetti finalizzati a «diffondere la cultura della libera informazione plurale, della comunicazione partecipata e dal basso, dell’innovazione digitale e sociale, dell’uso dei media». Categoria nelle quali rientrano, per esempio, blog e piattaforme web.

Le posizioni
La Lega «è assolutamente contraria a ogni tagliola sui fondi per il pluralismo dell’informazione» ha chiarito Alessandro Morelli, presidente della commissione Trasporti, Poste e Telecomunicazioni della Camera, incaricato dal Carroccio di seguire il dossier che è in mano a Vito Crimi, sottosegretario alla presidenza del Consiglio con delega all’editoria. In particolare la preoccupazione del Carroccio è per le testate locali che a causa delle nuove regole rischierebbero la chiusura, come denunciato dalle associazione di settore (circa 300 testate). Timori che lo stesso Di Maio aveva cercato di sopire assicurando di avere «sempre avuto grande attenzione per le testate locali perché stanno ora raccontando il paese ancora meglio dei giornali nazionali. Ma anche in quel caso, vorrei dare loro soldi in modo meritocratico e pensare anche a nuove iniziative che coinvolgano i giovani».

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