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Ocse: Italia prima per i contributi pensionistici con il 33%

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Pensions Outlook 2018

Ocse: Italia prima per i contributi pensionistici con il 33%

Il nostro Paese è al primo posto tra i Paesi industrializzati per i contributi obbligatori al sistema pensionistico, con un'aliquota pari al 33% per un lavoratore medio. È quanto emerge dal rapporto ”Pensions Outlook 2018” dell’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico (Ocse). Al secondo posto l'Ungheria con il 31%, davanti alla Spagna con il 28%, la Francia è al 25,4% e la Germania al 18,7 per cento. Il tasso di sostituzione teorico, ovvero il reddito post-ritiro dal lavoro rispetto al reddito da lavoro, vede l'Italia al terzo posto con l’83%, dopo Danimarca (86,4%) e Olanda (96,9%), Paesi dove peraltro giocano un ruolo predominante gli schemi pensionistici obbligatori privati (71,6% e 68,2% rispettivamente) rispetto alle pensioni statali (14,8% e 28,7%).

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Tasso disostituzione record
Quello italiano è in effetti di gran lunga il maggiore tasso di sostituzione (in pratica, il rapporto percentuale fra la prima annualità completa della pensione e l'ultimo reddito annuo completo immediatamente precedente il ritiro dal lavoro) per un sistema pensionistico pubblico. Solo Austria (78,4%), Lussemburgo (77%) e Portogallo (74%) si avvicinano ai livelli italiani.

Più flessibilità in uscita per fasce sociali svantaggiate
In questo scenario, il “Pension Outlook” Ocse fornisce al Governo italiano una serie di raccomandazioni. Per esempio, prevedere una maggiore flessibilità sull'età pensionabile per i gruppi socio-economico svantaggiati. Data la loro minore aspettativa di vita – argomenta il documento - le persone svantaggiate avrebbero un'ulteriore penalizzazione finanziaria se godessero del trattamento pensionistico per un tempo più breve, relativamente alla loro vita lavorativa, rispetto alle più longeve categorie benestanti. Vanno inoltre migliorati gli incentivi fiscali e non-fiscali a favore del risparmio pensionistico.

No a reversibilità per coniugi prima dell’età per pensione di vecchiaia
Il report fa anche il punto sui trattamenti di reversibilità rispetto al Pil, sottolineando come l’Italia nel 2017 abbia speso oltre il 2,5% del Pil per queste pensioni a fronte di una media Ocse dell'1 per cento. Seguono l'Italia la Grecia e la Spagna. Il dato è legato anche alla bassa occupazione femminile. Spendono meno dello 0,5% del Pil, tra gli altri l'Australia, il Canada e il Regno Unito. Su questo fronte, l’Ocse suggerisce dei correttivi mirati per evitare che il diritto alla reversibilità disincentivi il lavoro e avvantaggi le coppie rispetto ai single. I destinatari di una pensione ai superstiti «non dovrebbero averla prima dell'età per il ritiro». Potrebbero quindi essere previsti benefici temporanei per adattarsi alla nuova situazione. In una riforma «a bilancio neutrale» le pensioni dei single dovrebbero essere superiori a quella di uno che vive in una coppia che beneficia di una pensione ai superstiti.

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I paletti delle norme previdenziali italiane
Attualmente, in Italia reversibilità spetta al coniuge supersite (l'importo è pari al 60% della pensione) e ai figli se non hanno superato i 18 anni (26 se studiano all'Università). La pensione può essere erogata per intero nel caso di coniuge superstite con due o più figli. L'assegno può spettare anche ad altri familiari se a carico della persona che ha perso la vita. Previste anche percentuali di riduzione dell'assegno tra il 25% se il superstite ha un reddito superiore a tre volte il trattamento minimo del Fondo pensioni lavoratori dipendenti e il 50% nel caso di reddito superiore a cinque volte il trattamento minimo.

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