Matteo Salvini continua a ripetere che fosse per lui la Tav si farebbe eccome. Ma poiché governa con il M5s e c’è un contratto da rispettare ed è d’accordo nel rinviare la decisione al termine della famosa è famigerata analisi costi benefici. Così lascia ai pentastellati e al premier Conte il compito di informare la rappresentanza piemontese che sulla Tav per ora e anche per i prossimi mesi non si deciderà.
Nel frattempo al Viminale il ministro dell’Interno riceve Mino Giachino. Promotore di una sottoscrizione a favore della Torino-Lione per rimarcare la sua posizione e quella della Lega a favore del “si”. È una strategia consumata, già sperimentata in piu occasioni. A partire dal decreto dignità o sull’anticcorruzione varati entrambi senza che Salvini fosse presente alla riunione del Consiglio dei ministri.
Una presa di distanza da provvedimenti e scelte, come quella sulla Tav, che il leader della Lega sa essere mal digerita dalla sua base e in particolare da quel Nord che ha riposto nel Carroccio le sue aspettative. Ma fino a quando Salvini potrà rinviare a domani quello che non può fare oggi? Il rumoreggiare del mondo produttivo contro le scelte del governo, la marcia indietro sulla manovra per tentare di evitare la procedura d'infrazione sono segnali che esprimono, al di là degli slogan via facebook e sia pure da fronti diversi, una preoccupazione crescente.
Salvini sabato a Roma fingerà che non esista. Anzi additerà gli assenti quali avversari su cui scaricare le difficoltà. Ma a maggio in Piemonte si vota. E alla Lega non basterà dire di essere favorevole a Torino mentre a Roma si gira dall’altra parte. Prima o poi il Salvini sarà chiamato a metterci la faccia. E non vale solo per l’alta velocità.
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