«Noi sindaci che avevamo sostenuto la candidatura di Marco Minniti resteremo nel Pd, questo sia chiaro, non seguiremo chicchessia nell’ennesima scissione». Solo una settimana fa, con il ritiro inaspettato di Minniti dalla corsa congressuale del Pd, la voce più alta contro le ipotesi di uscita dal partito per fondare una “cosa” nuova da parte di Matteo Renzi si è levata proprio da un renziano doc: Matteo Ricci, sindaco di Pesaro e responsabile enti locali del Pd renziano. Un caso,
se non fosse che un altro sindaco vicinissimo a Renzi fin dall’esordio nella scena politica nazionale nel 2012, ossia il primo
cittadino di Firenze Dario Nardella, si è levato subito contro le ipotesi di scissione più o meno con le stesse parole di Ricci. E nell’ala renziana del partito
i 500 sindaci che avevano firmato l’appello per la candidatura di Minniti sono i più arrabbiati contro le ipotesi di costruzione di nuovi partiti fatte circolare, senza smentita, dal loro (ex?) leader
nelle scorse settimane.
E si capisce: già a congresso in corso (le primarie conclusive sono state fissate per il 3 marzo), comincerà una lunga tornata amministrativa che coprirà tutto il 2019: a febbraio andranno alle urne Abruzzo (il candidato sostenuto dal Pd è Giovani Legnini, ex vicepresidente del Csm) e Sardegna (qui l'accordo con i Verdi ha portato alla candidatura del sindaco di Cagliari Massimo Zedda); tra maggio e giugno è poi il turno di Piemonte e Basilicata e di ben 4mila Comuni tra cui Firenze e Bari; dopo l’estate toccherà infine alla regione “rossa” per eccellenza, l’Emilia Romagna, dove secondo i sondaggi la Lega è già primo partito. Dato che il 26 maggio si voterà per le europee, possibile terreno di esordio del nuovo partito di Renzi, è probabile che il governo deciderà per l’election day con le Comunali e con le regionali in Piemonte e Basilicata.
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Già fare il congresso nel pieno della campagna elettorale per le amministrative è stata una scelta non condivisa dai principali
sindaci (Ricci aveva chiesto per tempo di rimandare la conta interna a dopo l’estate), perché potrebbe dare un’immagine di divisione
poco utile a raccogliere gli elettori attorno ai candidati democratici. Se poi a questo si aggiunge una possibile scissione
per opera dell’ex leader, il danno per le amministrazioni uscenti – in gran parte in mano al Pd e al centrosinistra – potrebbe
essere enorme. Si rischia il cappotto, insomma.
Da qui la rabbia dei sindaci, renziani e non, e la volontà di dare un contributo utile affinché il congresso non sia divisivo e riesca al meglio, rilanciando anche mediaticamente l'immagine del Pd: nei prossimi giorni sarà messo a disposizione dei candidati rimasti in corsa (principalmente Nicola Zingaretti e Maurizio Martina) un “manifesto delle città” per contribuire a trasformare il congresso appena iniziato in un confronto sulle idee e non sulla nomenclatura.
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