Un raffreddamento soft dell’indicizzazione delle pensioni all’inflazione per contenere la nuova spesa in arrivo con “quota
100”. Dopo l’ultimo consulto governativo la soluzione è in fase di stesura ed entrerà nell’emendamento alla manovra in Senato.
Si prevede, stando alle fonti politiche direttamente coinvolte, una indicizzazione piena solo per le pensioni fino a tre volte
il minimo (1.530 euro lordi al mese), poi un decalage simile ma meno forte rispetto all’attuale schema (che sarebbe scaduto
a fine anno) per garantire una minore spesa per 200 milioni l’anno prossimo, 600 nel 2020, 900 nel 2021. Con la conferma dell’attuale schema, reiterato dal governo Letta in avanti e che prevede una indicizzazione del 40% sugli assegni tra 3 e 4 volte il minimo;
del 20% tra 4 e 5 volte; del 10% tra 5 e 6 volte; nullo per importi oltre sei volte il minimo, si sarebbero ottenuti risparmi
anche maggiori: 350 milioni nel 2019, 800 nel 2020, 1,250 miliardi nel 2021.
La soluzione adottata dovrebbe durare un triennio per poi essere nuovamente riconsiderata. Se non si fosse presa questa contromisura, da gennaio sarebbe rientrato in vigore lo schema di indicizzazione previsto dalla
legge 388 del 2000, che prevede una indicizzazione al 100%, per le pensioni di importo fino a tre volte il minimo; 90%, per
gli assegni di importo compreso tra 3 e 5 volte il trattamento minimo; 75%, per i trattamenti superiori a 5 volte il minimo.
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Il ritorno all’indicizzazione su tre fasce era attesa (e rivendicata) ormai da anni dai sindacati, che pure chiedono di individuare
un nuovo paniere (elenco delle voci più ricorrenti di spesa) per l’effettivo potere di acquisto di pensionati e cittadini
con reddito non ha ancora trovato accoglimento. Ma la necessità di trovare una soluzione capace di garantire minore spesa
pensionistica ha prevalso. Vale ricordare che sulla leva della minore rivalutazione delle pensioni si agisce dal 2012, ovvero
dal varo della riforma Fornero. Una strada che ha inciso sul potere di acquisto dei pensionati nonostante gli anni di bassa
inflazione che hanno accompagnato il dopo-crisi.
La spesa per pensioni e l’inflazione
L’Italia non è l'unico paese occidentale in cui le leve della riduzione o del differimento dell’indicizzazione delle pensioni
sono state utilizzate per mitigare la spesa. Basta uno sguardo agli ultimi rapporti dell’OCSE sul tema per scoprire che in almeno altri dieci paesi dell’area, negli ultimi anni, i meccanismi di perequazione sono stati
toccati, ridotti o temporaneamente congelati. La ragione è sempre la stessa: tenere bassa la traiettoria di una spesa in costante
crescita. Gli interventi sono stati dei più vari, calibrati tenendo conto sia delle esigenze di sostenibilità finanziaria
dei sistemi previdenziali sia della dovuta protezione del potere di acquisto di pensioni che, grazie all’allungamento dell’aspettativa
di vita, hanno durate sempre più significative. Vediamo qualche esempio recente. In Francia nel 2014 l’adeguamento delle prestazioni all’indice dei prezzi è stato spostato dal mese di aprile a ottobre per
le pensioni che sono sopra i 1200 euro al mese, mentre in Grecia il congelamento delle indicizzazioni è iniziato nel 2011 ed è durato quattro anni. Anche in Giappone nel
2015 è stato chiuso un temporaneo stop delle indicizzazioni, mentre in altri Paesi gli interventi sono stati di più lungo
termine, con la scelta (già fatta in Italia nel 1992) di indicizzare le pensioni non più ai salari ma ai prezzi o a coefficienti
che contengono un mix di inflazione e salari. È il caso dell’Ungheria (dal 2012) o della Repubblica di Slovenia (dal 2013
al 2017) mentre in Australia è previsto il passaggio all’indicizzazione sull’inflazione e non più sugli stipendi a partire
dal 2017. In Finlandia nel 2015 l’indicizzazione è stata temperata, passando da un fattore dell’1% a uno dello 0,4%, un “fattore
di riduzione” degli adeguamenti è stato introdotto anche in Lussemburgo nel 2013 e in Polonia nel 2012 mentre meccanismi di
riduzione degli adeguamenti per le pensioni di vecchiaia e invalidità sono stati varati nella Repubblica Ceca nel 2012 per
una durata prevista fino alla fine del 2015. In Spagna, infine, l’indicizzazione è stata calibrata anche sulla base dei contributi
versati ed ogni cinque anni, a partire dal 2019, gli assegni saranno adeguati anche sulla base dell’aspettativa di vita.
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