Il probabile sì di Bruxelles alla nuova legge di Bilancio rappresenta la rivincita delle colombe del governo gialloverde.
Del premier Giuseppe Conte e del ministro dell'Economia Giovanni Tria. I numerini che verranno inseriti nel maxiemendamento alla manovra, sono vicinissimi a quelli che Tria aveva invano tentato
per settimane di imporre all'attenzione di Matteo Salvini e Luigi Di Maio. Il titolare di via XX settembre, consapevole dei rischi, aveva perorato la causa di non superare la soglia fatidica del
2% nel rapporto deficit/Pil. Ma dai vicepremier erano giunte risposte sprezzanti, di sfida.
Per settimane Salvini e Di Maio avevano sostenuto che il 2,4% era intoccabile e che l'1,5% di crescita del Pil era addirittura
sottostimato. I leader di Lega e M5s non volevano minimamente prendere in considerazione la possibilità di rivedere i saldi
della manovra.
Ma la salita repentina dello spread e la deludente asta del BTp Italia, assieme alla sofferenza del sistema bancario - giornalmente fotografata dalla Borsa per il peso della svautazione del valore
dei titoli di stato in loro possesso - hanno imposto ai due vice un bagno di realtà. Per un Paese che paga stipendi e pensioni
anche grazie al contributo decisivo del mercato, il braccio di ferro con Bruxelles poteva rivelarsi esiziale.
Il primo a capirlo e a imporre la svolta è stato il premier. Conte ha chiesto e ottenuto dai suoi due vice di avere il pieno mandato a condurre la trattativa con Jean Claude Juncker.
Per la prima volta in 6 mesi di governo, la figura di Conte ha coinciso pienamente con il suo ruolo istituzionale di premier.
Il presidente del Consiglio ha preso in mano la situazione, spalleggiato direttamente anche dal Capo dello Stato, e a Bruxelles
hanno capito che si faceva sul serio. Lo si è visto soprattuttp nella fase finale della trattativa e si capirà ancora meglio oggi quando ne riferirà al Parlamento i contenuti.
Lo stesso può dirsi per Tria, le cui dimissioni o la cui estromissione più volte sono state palesate in queste ultime settimane.
Alla fine, invece, la proposta iniziale del ministro dell’Economia, che suggeriva di non superare il 2% nel rapporto deficit/Pil, è diventata quella di tutto l'Esecutivo.
Quanto a Salvini e Di Maio, i leader dei due partiti di maggioranza continuano a dirsi soddisfatti. Quotidianamente ripetono che il taglio di 4 miliardi su reddito e pensioni è ininfluente ai fini dell'applicazione delle due misure bandiera. C'è solo da domandarsi perchè allora non averlo previsto fin dall’inizio. Il ritardo ci è già costato solo quest'anno, 1,5 miliardi di euro di interessi in più. Tanto ha pesato infatti l'aumento dello spread in soli sei mesi.
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