Gli organismi di vigilanza devono essere al di sopra di ogni sospetto, come la moglie di Cesare. La notizia rivelata da Il Sole 24 Ore di ieri del coinvolgimento di consulenti aziendali e soprattutto di un colosso dell’asset management come BlackRock nei recenti stress test bancari europei fa invece dubitare che a Francoforte si sia abbastanza sensibili al problema.
Va riconosciuto che alla Banca Centrale Europea è stato assegnato, nei giorni frenetici in cui ci si è accorti che un’unione monetaria senza unione bancaria non poteva funzionare, il compito tremendo di vigilare direttamente su oltre cento banche di rilievo sistemico e indirettamente su tutti i sistemi bancari dell’eurozona. Il tutto con tempi ristretti di rodaggio, a differenza di quanto era avvenuto per l’attività di politica monetaria e nel pieno della crisi finanziaria, globale ed europea.
E poiché il know how della vigilanza richiede competenze affatto diverse da quelle necessarie per lo svolgimento della politica monetaria, ricorrere anche a consulenti esterni per svolgere al meglio compiti così gravosi e complessi era quasi una soluzione obbligata. Si aprono però profili di opportunità non secondari perché i consulenti in questione offrono i loro servizi alle banche vigilate su temi contigui a quelli oggetto degli stress test oppure della valutazione Srep (Supervisory review and evaluation process) che è un esame a tutto tondo dell’assetto strategico, della gestione del rischio, della governance e dei controlli interni di una banca.
Questo richiede un’attenzione estrema da parte del supervisore, il che significa procedure e controlli chiaramente definiti
e trasparenti per il mercato, nella selezione e nell’assegnazione dell’incarico. Se è vero che non è stato effettuato un bando
perché «non c’era tempo», ci troveremmo di fronte ad un caso molto delicato, anche perché contrariamente ai disastri atmosferici,
gli stress test hanno una tabella di marcia scandita
da anni.
Ancora più discutibile appare la scelta di coinvolgere BlackRock, cioè un intermediario finanziario, per quanto non direttamente vigilato dalla Bce. Un gigante che gestisce sei trilioni di dollari di attività in tutti i campi (cioè quanto tutti i fondi di private equity e speculativi messi assieme, chiosava preoccupato l’Economist qualche tempo fa) e che gestisce sulla propria piattaforma oltre il doppio in valore di scambi di altri intermediari. In questi tempi in cui ci si interroga sui pericoli connessi all’uso dei big data, la prudenza non dovrebbe mai essere troppa e consiglia di contare su controlli ben più efficaci di quelli interni all’intermediario cui fa riferimento la risposta della signora Nouy. È ben noto che in tanti casi le “muraglie cinesi” si sono rivelate più friabili di un biscottino.
Ma c’è ben altro. Da qualche anno il Fondo monetario e vari regolatori hanno sollevato il tema dei possibili problemi di stabilità collegati all’attività di asset management. L’istituto di Washington nel suo Global Financial Stability Report di aprile 2015 ha dedicato un intero capitolo al problema e ha affermato testualmente: «Le preoccupazioni sugli effetti potenziali in termini di stabilità finanziaria sono aumentati negli anni recenti per effetto della crescita del settore e dei mutamenti strutturali dei sistemi finanziari». Il rapporto di novembre 2018 della stessa Bce contiene un approfondimento sui rischi di liquidità posti dagli Etf, un settore in cui BlackRock è ovviamente attivo in posizione dominante. Forse non è il caso di coinvolgere nell’attività di vigilanza prudenziale non un soggetto qualsiasi del settore, ma il suo leader incontrastato.
Insomma, non è il pas d’adieux che forse si meritava chi ha svolto un incarico gravoso e delicato in condizioni estremamente difficili. Ma quello che più conta è che chi le succederà, Andrea Enria, ha sempre dimostrato in otto anni al vertice dell’Eba un rigore sui temi di opportunità e di deontologia che piaceranno di sicuro a Wolfgang Schäuble che ha sollevato il problema.
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