Sfioreranno i 13 miliardi di euro in tre anni le maggiori entrate attese dalla prima legge di Bilancio targata dal governo M5s-Lega, e su cui sabato 29 dicembre l’Assemblea della Camera dovrà votare l’ennesima fiducia. A fare i conti del maxi-aumento di tasse è stato l’ufficio studi del Consiglio nazionale dei commercialisti che stima, dal punto di vista della pressione fiscale, un saldo netto di 12,9 miliardi di maggiori entrate tributarie nel periodo 2019-2021. Importi sui quali, però, precisano i professionisti, pesa «l’incognita della tassazione locale».
Nel dettaglio è previsto che dalle santorie, giunte ormai a ben dieci differenti tipologie con l’aggiunta del «saldo e stralcio» per i contribuenti in difficoltà economica, affluiscano nelle casse dell’Erario 7,3 miliardi. Ci saranno anche gli effetti, inizialmente positivi per lo Stato, delle scelte di imprese e persone fisiche che volontariamente vorranno avvalersi di regimi opzionali di rivalutazione, o estromissione fiscale dei beni. Le vere e proprie tasse aggiuntive permetteranno, si legge nell’analisi dei commercialisti, di ricavare 12,4 miliardi. A saldare il conto banche e assicurazioni (5,6 miliardi), imprese (2,4 miliardi), i concessionari del gioco (2,1 miliardi), l’economia digitale (1,3 miliardi), i consumatori (0,6 miliardi) e gli enti del no-profit (0,4 miliardi).
A seguire, mettono nero su bianco i professionisti, 6,8 miliardi saranno le «note positive di riduzione del prelievo fiscale, concentrate essenzialmente sulle partite Iva individuali(-4,8 miliardi) e sul settore immobiliare, dell’edilizia e degli interventi sulla casa in generale (-1,8 miliardi), cui si aggiungono alcuni capitoli marginali (- 0,2 miliardi)». Nel tradurre in numeri l’aumento della pressione fiscale già stimato dall’Ufficio parlamentare di bilancio, l’ufficio studi dei commercialisti non ha conteggiato i tributi locali, posto che la Legge di Bilancio da un lato «non conferma il blocco in essere ormai da tre anni (2016-2018) degli aumenti delle aliquote Irap, Imu, Tasi ed addizionali regionali e comunali all’Irpef» e, dall’altro, si sottolinea, infine, nello studio, «consente espressamente aumenti fino al 50% dell’imposta comunale sulla pubblicità e sulle pubbliche affissioni».
© Riproduzione riservata