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Economia in chiara frenata, i numeri della manovra sono già vecchi

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dopo il crollo dELLA PRODUZIONE

Economia in chiara frenata, i numeri della manovra sono già vecchi

La frenata dell’economia è in atto, come conferma la vistosa caduta della produzione industriale a novembre dello scorso anno, e secondo diversi analisti anticipa con ogni probabilità il dato del Pil relativo all'ultimo trimestre che verrà diffuso dall’Istat ai primi di marzo.

Un nuovo segno meno, dopo quello registrato nel terzo trimestre, segnalerebbe tecnicamente la recessione. Con quali impatti sulla manovra appena varata dal Parlamento, dopo una faticosissima gestazione e un aspro confronto con la Commissione europea, che ha indotto il Governo a riscriverne i saldi? I conti verranno aggiornati a metà aprile con il Documento di economia e finanza, ma fin d’ora si può ipotizzare una possibile, ulteriore revisione al ribasso della stima di crescita per il 2019, che il Governo ha rivisto all'1% rispetto all'1,5% fissato a settembre. Il target dell'1% tiene insieme al momento gli altri addendi della manovra: debito a quota 130,7%, rispetto al 131,7% atteso per fine 2018, e deficit al 2% contro l'1,9% fissato per l'anno appena concluso.

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Gli obiettivi di debito e deficit nominale rischiano di saltare, con il debito in particolare che affiderebbe a quel punto buona parte della chance di riduzione agli incassi da privatizzazioni, stimati in 18 miliardi nel 2019. Un obiettivo ambizioso, sia per i 950 milioni che si prevede di recuperare dal capitolo delle dismissioni immobiliari sia per le vendite di asset pubblici. L’esperienza più recente, stante anche la situazione di mercato, va in tutt’altra direzione.

Quanto al deficit, ridotto al 2% rispetto al 2,4% inserito nella prima versione della manovra, il target è destinato anch'esso a salire: in caso di crescita vicina allo zero il disavanzo andrebbe pericolosamente in direzione del tetto massimo del 3%, in caso di crescita comunque dimezzata rispetto all'1% salirebbe di due o tre decimali di punto. Il problema però, anche al di là dell'aumento del deficit, è la direzione di marcia. La caduta del Pil renderebbe l'intero quadro di finanza pubblica, che già deve fare i conti con l'aumento della spesa in conto interessi provocata dall'aumento dello spread, alquanto fragile.

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È vero che il dato italiano sulla produzione industriale, che evidenzia a novembre 2018 un calo del 2,6% su base annua e dell'1,6% su ottobre, è in linea con quelli altrettanto negativi di Germania e Francia, tanto da lasciare presagire una possibile recessione in tutta Europa. Dati negativi si registrano anche in Spagna e in Gran Bretagna. L’interrogativo per noi riguarda la composizione delle misure contenute nella legge di Bilancio.

Il governo conta di realizzare una crescita dell'1% nell'anno in corso grazie all'auspicato effetto propulsivo delle misure portanti della manovra: reddito di cittadinanza, quota 100 per le pensioni, avvio del nuovo regime forfettario per le partite Iva, prima di tutto. Si può ovviamente discutere sulla possibilità che questo mix di interventi riesca e invertire la tendenza, tanto da far immaginare che la nostra economia riprenda la strada della crescita soprattutto grazie al sostegno della domanda interna. Si può avanzare qualche dubbio in proposito.

In primo luogo, se andrà bene, le due misure portanti della manovra cominceranno a dispiegare i loro effetti a partire dal mese di aprile. Dunque dovrebbero poter contare su una velocità di spinta della domanda molto più sostenuta, essendo a quel punto trascorsi già quattro mesi.

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In secondo luogo, l'effetto di “sostituzione” di quanti decideranno di lasciare il lavoro con “quota 100” e dei nuovi occupati che subentreranno non sarà meccanicamente predefinibile. Infine, così come è avvenuto per gli 80 euro introdotti dal governo Renzi, non è affatto scontato che il reddito di cittadinanza (peraltro decisamente più contenuto rispetto ai 780 euro ipotizzati nella prima stesura della manovra) si traduca sic et simpliciter in un aumento dei consumi. Normalmente, in fasi di contrazione della crescita e di aspettative incerte, gran parte dei consumatori sono indotti a rinviare programmi di spesa, in attesa di tempi migliori.

Infine c'è il capitolo degli investimenti pubblici, anch'esso nelle intenzioni del Governo importante volano per il sostegno della crescita. È vero, gli investimenti pubblici (se realizzati nei tempi giusti) possono contare su un effetto moltiplicatore sulla crescita molto rilevante, ma anche in questo caso la prudenza è d’obbligo. Finora non sono mancate certo le risorse. Quel che è mancato sono i progetti effettivamente “cantierabili” e realizzabili in tempi ragionevolmente ravvicinati.

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