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Salvini: «No a scambi Diciotti-Tav». Di Maio:…

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alta tensione nel governo

Salvini: «No a scambi Diciotti-Tav». Di Maio: «La Lega dica se vuole rompere»

La Tav continua a essere tema di scontro frontale dentro il governo. Complice la campagna elettorale per le regionali di domenica prossima, che vede i leader di M5s e Lega schierati in queste ore in Abruzzo, i toni hanno raggiunto un livello di guardia. Tanto che ieri sera si è reso necessario l’intervento pacificatore del premier: si decide in base all’analisi costi-benefici. Stamattina Matteo Salvini ha sgombrato il campo da qualunque potenziale scambio tra Tav e “scudo” al processo sulla Diciotti. «Non siamo al mercato, io ti do questo tu mi dai quello, è roba di vecchi governi, non ho bisogno di aiutini» ha incalzato.

E Luigi Di Maio ha escluso qualunque ipotesi di ridimensionamento della Tav: «Finché ci sarà il Movimento al Governo, la Tav non si farà. Ridimensionata? Il tema non è il ridimensionamento dell’opera: se diciamo queste cose, parliamo di una supercazzola». Lo stop a Salvini è senza mezzi termini: «Per me valgono le priorità: in questo governo ce lo siamo detti chiaramente dall’inizio, ci sono cose su cui siamo d’accordo e altre no. Lavoriamo su quelle su cui siamo d’accordo, altrimenti devo concludere che si spinge su cose su cui non siamo d’accordo per creare tensioni nel governo. Se si insiste su questo punto, allora devo pensare che è proprio per spaccare?».

L’incrocio fra Tav, caso Diciotti e voto abruzzese
Ma perché il caso Tav sta infiammando così tanto gli animi degli alleati di governo? Innanzitutto perché domenica prossima si vota in Abruzzo e i due “azionisti” di maggioranza sono competitor alle urne. In secondo luogo, M5S ha vissuto con molto fastidio la visita e il brindisi di Salvini al cantiere Tav di Chiomonte di venerdì scorso ed ha bisogno di far passare il messaggio opposto a quello del leader leghista. Infine, la Tav è un elemento che entra nel difficile gioco di equilibri della maggioranza che è alle prese con lo spinoso caso Diciotti e relativo voto sul processo a Matteo Salvini. Il cedimento leghista sulla Tav potrebbe infatti essere il “pegno” da pagare per ottenere il no del Movimento Cinque stelle all’autorizzazione a procedere nei confronti del leader leghista. Anche se le parole di oggi del vicepremier del Carraccio sembrano derubricare quest’ipotesi: «In Senato ognuno sarà libero di votare come ritiene di votare. Io blocco gli sbarchi, sveglio l’Europa e fermo i morti e le partenze, l’ho fatto, lo farò». Intanto però Di Maio lascia intendere che una possibilità di bloccare il processo a Salvini da parte dei parlamentari M5s resta in piedi. «Nella nostra storia non abbiamo votato per utilizzare immunità parlamentari - dice agli elettori abruzzesi durante un comizio a Ortona -. Questa è un po’ diversa da un’immunità ma per quanto mi riguarda mio riferimento sono i senatori della giunta che seguiranno tutto il procedimento. Leggeremo le carte».

Lo scontro M5S-Lega
Ieri però il Movimento ha dato l’impressione che la decisione sulla Tav sia stata già presa a prescindere da ciò che dirà l’analisi costi-benefici. «Finché ci sarà il Movimento 5 Stelle al governo per quanto mi riguarda la Tav Torino-Lione non ha storia, non ha futuro» ha detto Luigi Di Maio, in diretta Facebook a Penne, in Abruzzo. Ancora più duro Alessandro Di Battista, che accompagna il leader nella campagna d’Abruzzo: «Se la Lega intende andare avanti su un buco inutile che costa 20 miliardi di euro e non serve ai cittadini, tornasse da Berlusconi e non rompesse i coglioni. È chiaro?». Ma Salvini sembra ottimista sulla possibilità di trovare un’intesa con gli alleati di governo: «L’abbiamo sempre trovata in questi mesi, la troveremo anche su questo». E poi: «La Tav non serve a Salvini. Se si viaggia più veloce, serve agli italiani». Questa mattina, in un’intervista al Messaggero, il leader leghista rilancia ancora: «Nessuno stop alla Tav ed anche un grande piano Marshall delle opere pubbliche».

GUARDA IL VIDEO - Tav: cos’è, qual è il percorso e quanto costa

Le «peggiori lobby»
Il ministro del Lavoro e dello Sviluppo economico - che venerdì aveva detto «Per me il cantiere di Chiomonte non è un’incompiuta, è un mai iniziato» -ieri è tornato sul tema per attaccare: «Le peggiori lobby di questo Paese vogliono che si inizi a fare la Tav, che è a zero come cantiere. Ma quando tutti i signori che in questi anni hanno sostenuto Renzi e Berlusconi stanno da una parte, il M5s sta dall’altra, dalla parte delle opere utili come la nuova metro a Torino, una linea Roma-Pescara, la Tav Palermo-Catania. Quando i signori dei grandi potentati che hanno ridotto il Paese in queste condizioni tifano per un’opera inutile come la Torino-Lione il M5s sta col popolo». Quindi, ha sintetizzato il vicepremier, «più che scontro aperto» con la Lega, sulla Tav «il discorso è chiuso: possiamo semplicemente dire che finché il M5s sarà al governo quel cantiere non inizierà, perché non è stato scavato neanche un centimetro».

Il no M5S, la soluzione di Salvini
Per Salvini, però, «ci sono ingegneri, operai, imprenditori, pendolari, italiani che non vedono l’ora che i lavori ripartano. Faremo tutto il possibile perché sia così, ridimensionando il progetto, tagliando megastrutture, tagliando sprechi per investirli in altro, però dal mio punto di vista lasciare a metà un’opera non ha mai senso». Il leader della Lega evita lo scontro: «Guardo i numeri. Se i numeri mi dicono che mi costa di più fermare un’opera piuttosto che finirla mettiamoci a un tavolo. Sto ancora aspettando questo benedetto rapporto su costi e benefici».

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L’intervento di Conte
Dopo lo scambio di colpi a distanza cheieri si è trascinato per tutto il giorno, a riportare la calma nella maggioranza è stato il premier Giuseppe Conte: «Sulla Tav - ha scritto in una nota - ho preso un impegno a nome del governo: di procedere alla decisione finale non sulla base di sensibilità personali o di una singola forza politica. Il contratto di governo prevede una “revisione” del progetto. Abbiamo interpretato questa clausola quale necessità di procedere all’analisi costi-benefici e di riservarci la decisione all'esito di questa valutazione finale che contemplerà tutte le implicazioni tecniche, economiche, sociali». Poco dopo Di Maio invia un messaggio al suo alleato: «Lo dico anche con molta franchezza a Salvini: non utilizziamo i temi dei nostri oppositori per farci dividere, andiamo avanti su quei temi su cui siamo d’accordo e vedrai che questo governo farà altre cose buone nei prossimi anni».

Il Mit: analisi costi-benefici molto negativa
A inasprire nuovamente gli animi ci ha pensato però il ministro delle Infrastrutture Danilo Toninelli che ha fatto trapelare la notizia secondo cui «dall’approfondimento tecnico in corso circa i dati dell’analisi costi-benefici sul Tav Torino-Lione sta emergendo un saldo fortemente negativo a carico della prosecuzione dell’opera». Un nuovo schiaffo politico alla Lega che suona così: l’analisi non può essere ancora resa pubblica ma intanto sappiate che boccerà l’opera.

Di Battista: «Tagliare stipendi a Fazio e Vespa»
Oltre che la Tav, la campagna d’Abruzzo rispolvera l’altro tema caro ai Cinque stelle: il taglio degli stipendi. A farsene portavoce è Alessandro Di Battista: «
“È giunto il tempo di una sforbiciata senza precedenti dei costi della politica e non solo - è la premessa - perché i sacrifici li fanno tutti, tranne i politici o i conduttori Rai pagati con denaro pubblico che sono giornalisti, ma non hanno
contratti da giornalisti». Nel mirino Fazio e Vespa: «Adeguamento dei contratti di Fazio e Vespa - tuona il “Dibba” -. Sono giornalisti e guadagnino come loro (massimo 240.000 euro lordi all’anno)». Infine i parlamentari: «Taglio di 3500 euro al mese sullo stipendio dei deputati (con un risparmio di circa 22 milioni di euro all’anno); - scrive l’ex deputato 5S - taglio di 3500 euro al mese sullo stipendio dei senatori (risparmio circa 11 milioni all’anno); taglio di 3500 euro al mese sullo stipendio di tutti i consiglieri regionali (circa 36 milioni di euro all’anno); abolizione totale di tutte le doppie indennità, sia alla Camera che al Senato che nei Consigli regionali; taglio di oltre 300 parlamentari».

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