«Questo è il momento dell’Italia». Matt Brittin, presidente Emea di Google, lo dice spesso durante la sua intervista al Sole 24 Ore, dopo aver partecipato al “taglio del nastro” di Connext, la due giorni di partenariato organizzata da Confindustria al MiCo di Milano. In quest’ambito Google e l’associazione degli industriali hanno dato il via a un piano di collaborazione a favore della trasformazione digitale delle imprese, basato su quattro direttrici: supporto all’internazionalizzazione; formazione sulle competenze digitali; aumento della presenza online delle imprese; adeguato sfruttamento da parte delle Pmi delle potenzialità di machine learning e intelligenza artificiale. Alla base c’è ovviamente l’innovazione. Quella che ha fatto parlare Matt Brittin della «“mucca connessa”. In un allevamento nei Paesi Bassi ai collari delle mucche sono stati applicati sensori per tenere sotto controllo parametri e produttività». Ma anche
quell’innovazione che a lui – inglese, ex sportivo che ha preso parte alle Olimpiadi di Seul del 1988 nel canottaggio, ma che ha anche un passato nei media come direttore commerciale del Trinity Mirror, proprietario del Daily Mirror e di una dozzina di altre testate regionali – fa dire mentre osserva la sede del Sole 24 Ore che è «tutto diverso da quando frequentavo il mondo dei media. Allora c’erano le rotative nei palazzi che si sentivano, eccome». Cambiamento, dunque, ma visto come sinonimo di opportunità. «Questo è un momento molto importante per l’Italia. Grazie al web le piccole imprese possono fare quello che un tempo era riservato solo alle grandi: allargare i confini del proprio business. Con il nostro progetto vogliamo arrivare a questo».
Un progetto condiviso con Confindustria.
Confindustria ha 160mila aziende associate e 4 milioni di addetti in queste società. Sono felice di aver annunciato questo accordo. Per quanto ci riguarda, Google è in Italia da 18 anni. Le imprese ci dicono che se usano il digitale hanno successo, ma ci sono dei significativi gap in termini di digital skills. E quindi questa partnership verte sul portare competenze e strumenti - insieme - per aiutare le imprese a combattere la recessione.
In Italia però dal punto di vista delle infrastrutture digitali non siamo certo al top. Non rischia di essere uno scoglio troppo grande?
È vero che l’Italia è indietro sul versante del digitale. Lo dice la stessa Ue: il Paese è 25esimo in graduatoria. Questo però ha il sapore dell’opportunità. Perché
l’Italia dovrebbe essere ottimista? Perché le piccole imprese hanno capacità e possibilità di muoversi con la rapidità che serve. Tipicamente non usano il web. Ma internet è in espansione; i consumatori sono sempre di più online. E quello che abbiamo imparato negli anni, in cui abbiamo formato con i nostri programmi 40mila piccole imprese, è che la maggior parte delle imprese che hanno accelerato sul digitale hanno poi registrato una crescita nel business.
Quali settori vede potenzialmente più avvantaggiati?
Penso al food, fashion, design. C’è grande domanda, la gente desidera il made in Italy e oggi è possibile raggiungere l’intero pianeta. L’opportunità è davvero grande, ora è il momento per l’Italia.
L’Italia è comunque tecnicamente in recessione e l’economia europea sta rallentando.
Proprio per questo va sottolineato quanto le aziende che sono online, fanno marketing online, crescano più rapidamente, assumano di più ed esportino di più di quelle che non usano il digitale. È un fatto.
Il Governo italiano ha inserito nella legge di Bilancio la web tax: 3% sulle vendite delle grandi compagnie. Non proprio una scelta che va nella vostra direzione.
Ovviamente siamo pronti e disposti a pagare quello che ci si chiede di pagare. Ciò che vorremmo però sono regole chiare. E invece spesso ci sono proposte diverse da Paesi diversi.
La tematica fiscale vi vede spesso tirati in ballo. Ma anche i rapporti con la Ue sono complessi. Dopo le due multe per Google Shopping da 2,4 miliardi e per Android da 4,3 miliardi potrebbe arrivarne un’altra per AdSense, sempre in tema di concorrenza e sempre per miliardi.
Non so ovviamente cosa deciderà la Commissione. Nel quadro dei nostri rapporti con l’Europa ci sono stati momenti in cui non siamo d’accordo. Contro queste decisioni abbiamo fatto appello. Dico in generale che il digitale porta con sé novità da studiare al meglio, per evitare effetti indesiderati. Porto anche l’esempio del copyright. Noi vogliamo una riforma, ma vogliamo evitare conseguenze inattese che vediamo nella proposta Ue.
Secondo lei quale ruolo può giocare l’Italia in Europa?
Con l’uscita della Gran Bretagna ci saranno dei nuovi equilibri e l’Italia può fare in modo che l’Europa abbia una visione del digitale che funzioni per tutti, anche per i paesi piccoli e le piccole imprese.
Ha toccato il tema Brexit. Voi non vi siete esposti granché.
Non è così. Siamo una multinazionale e dobbiamo mantenere una posizione di assoluta neutralità. È chiaro però che avendo nel nostro gruppo talenti internazionali, anche in Uk, l’incertezza, soprattutto quella legata al “no deal” investe anche noi come investe e preoccupa tante altre società.
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