Nelle prime tre settimane di sperimentazione, “quota 100” ha superato di slancio 60mila domande di anticipo pensionistico. Una valanga di richieste che non ha pari nelle statistiche delle ultime riforme previdenziali. Prendiamo per esempio le nuove flessibilità di uscita dal mercato del lavoro introdotte dai governi Renzi e Gentiloni ed entrate in vigore tra il 2017 e il 2018: in 24 mesi utilizzando l’Ape sociale, l’anticipo concesso ai lavoratori precoci e quello per le aderenti a “opzione donna”, ci si è fermati a 59.400 pensionamenti. Altro esempio: tra il 2012 e il 2018 le otto salvaguardie messe in campo per garantire un pensionamento con i requisiti pre-Fornero ai cosiddetti “esodati” sono state utilizzate da poco meno di 147mila lavoratori, un dato quest’ultimo che comprende anche i 12.500 lavoratori impegnati in attività usuranti usciti prima.
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I numeri che proponiamo vanno presi con le dovute cautele per tre motivi: perché sono provvisori, perché non sappiamo ancora quante domande degli aspiranti quotisti verranno accolte e perché le misure messe a confronto sono tra loro piuttosto diverse. Se “quota 100” è una specie di salvaguardia valida per il prossimo triennio per chiunque abbia almeno 62 anni e 38 di contributi, le altre forme di flessibilità hanno invece un carattere più selettivo e riguardano platee più ristrette. Ma fatte queste premesse di metodo c’è un dato di sostanza da sottolineare: mentre l’economia italiana entra nella sua terza recessione (per ora solo tecnica, poi si vedrà) dal mercato del lavoro stanno cercando di uscire circa 20mila persone in più la settimana.
Ventimila domande a settimana
A giorni leggeremo le valutazioni di Bruxelles anche su “quota 100” ma dalle indiscrezioni trapelate pare si sottolinei più
di una preoccupazione sul calo di forza lavoro che si determinerà e il conseguente calo del potenziale produttivo. Certo,
con l’avvio del reddito di cittadinanza, ha argomentato il governo, i numeri delle forze lavoro cresceranno. Ma questa è un’altra
storia, ancora tutta da scrivere. Tornando ai flussi in corso, registrati giorno dopo giorno dall’Inps come si faceva ai tempi
del boom di domande di cassa integrazione innescato dalla prima grande recessione (2008-2009), se le domande dei quotisti
dovessero procedere a questa velocità, quando a fine marzo il decreto sarà convertito in legge avremo superato ampiamente
la soglia delle 150mila, oltre la metà di quanto previsto dal Governo per quest’anno ipotizzando una propensione al pensionamento
pari all’85% degli aventi diritto del settore privato e del 70% per gli statali. E la settimana prossima, per la componente
pubblica, c’è da guardare con particolare attenzione al dato sulla domanda del comparto scuola (oltre 8.500 le domande arrivate
fino a ieri) perché chi volesse andare in pensione prima dell’inizio del nuovo anno scolastico dovrà muoversi entro il 28
febbraio.
Dopo aprile la priva verifica sui costi
Come andrà a finire? Prematuro dare una risposta prima di sapere quante pensioni “quota 100” entreranno effettivamente in
pagamento (e con quale importo medio) da lunedì 1° aprile. Vale solo ricordare che sull’ipotesi di 290mila nuove pensioni
quest’anno è stata impegnata una maggiore spesa per 3,7 miliardi, che salgono a 7,8 l’anno prossimo e a 8,3 nel 2021, anno
di fine sperimentazione, con la promessa del Governo di aver realizzato circa un milione di maggiori pensionamenti complessivi,
se oltre ai quotisti si considerano anche coloro che andranno in quiescenza prima grazie all’anticipo mantenuto a 42 anni
e 10 mesi a prescindere dall’età (41 e 10 se donne), e chi coglierà le opportunità date dal cumulo e dalle proroghe di “opzione
donna” e l’Ape sociale. Ma il consuntivo su quel milione di pensionati è lontano. Dopo aprile farà invece notizia il primo
monitoraggio sulla maggiore spesa innescata, anche in chiave prospettica. Allora sapremo se il budget messo in campo per “quota
100” si può valutare come sufficiente o se il governo dovrà invece cominciare ponderare l’ipotesi prevista dalla legge di
Bilancio: utilizzare come “vasi comunicanti” i fondi stanziati per “quota 100” e quelli per il reddito di cittadinanza.
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