Che sia l'uomo del futuro centrosinistra o una figura ancora ambigua (e ingombrante), il sindaco di Milano Giuseppe Sala sta facendo parlare di sé in questi giorni. Per la verità sono mesi che nelle stanze del Pd si guarda a lui come ad un possibile candidato capace di fare da collante alle diverse anime del centrosinistra, interpretando ovviamente il modello Milano. E a ben guardare, si poteva immaginare che il suo sguardo fosse rivolto al paese, e non solo a Milano, già dai tempi in cui prendeva le distanze da Renzi premier, sottolineando che a Milano non c'era stato bisogno di un suo sostegno per vincere (anche se poi c'è chi ricorda che proprio l'intervento politico dei democratici permisero la vittoria del 2016 a Milano contro l'improvviso e crescente successo di Stefano Parisi).
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L’obiettivo: esportare il modello Milano nel resto d’Italia
Nell'operazione di esportare il centrosinistra milanese a livello nazionale ci aveva già provato l'ex sindaco di Milano Giuliano
Pisapia, che dopo l'esperienza da primo cittadino ha cercato senza successo di dare vita ad una coalizione larga (Campo progressista),
mentre ora è pronto a candidarsi alle Europee come capolista del Nordovest per lo stesso Pd. I due - Pisapia e Sala - non
si amano troppo, anche se alla fine stanno percorrendo lo stesso tracciato, ognuno con il suo stile: Pisapia con il suo sguardo
rivolto al sociale, Sala con il piglio del manager, forte dell'esperienza da commissario dell'Expo.
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Ora Sala tenta a suo modo la corsa verso Palazzo Chigi, pur con un linguaggio da decifrare. Da una parte lo troviamo in prima fila con i 250mila manifestanti di sabato scorso contro il razzismo, mentre spiega la diversità del capoluogo lombardo, sottolineando che «la sinistra può ripartire da qui» e che se serve lui è pronto a dare una mano. Dall'altra però si ritira dicendo che al momento il suo massimo impegno è per la sua città, che basta e avanza a riempire le sue giornate e le sue ambizioni.
L’outsider che crea consenso
Ovviamente nel Pd si sono fatti un'idea. Non tutti lo amano per via del suo essere una sorta di uomo solo al comando, decisionista
e poco propenso a fare squadra. Alcuni politici locali di lungo corso lo definiscono «un cavaliere errante di grande fiuto
e grande capacità». Ma al tempo stesso devono riconoscere che in giro non c'è molto altro. Per qualche democratico, Sala può
essere paragonato in questo momento al neo segretario Nicola Zingaretti e al neo iscritto Carlo Calenda. Sono loro tre, dicono,
«i soli in grado di creare consenso». Sala ha da parte sua gli argomenti del Nord, che la Lega ha abbandonato inseguendo l'onda
sovranista, e inoltre Milano in questo momento rappresenta un'avanguardia nel paese per via dei dati economici e occupazionali
in controtendenza. Certo è che non tutti vedono di buon occhio il fatto che non sia tesserato e che non abbia dichiarato la
sua preferenza per un candidato segretario o l'altro. Equidistanza e astuzia? Per qualcuno «gioca solo le sue carte, aspettando
il momento utile».
Un «giocatore di carte» nel centrosinistra senza leader
Insomma, un abile giocatore del nuovo centrosinistra. Sicuramente a Milano la debolezza del Partito democratico fa sì che sia Sala a dettare l'agenda, il Pd gli va dietro, senza
fargli mancare i voti in consiglio comunale, e non c'è una dialettica. Nella giunta il nome che risalta di fatto è solo il
suo, l'amministrazione comunale è Sala e Sala è l'amministrazione comunale. Gli assessori più forti sono Pierfrancesco Majorino,
che interpreta il mondo dell'associazionismo e che guarda da sempre ai diritti sociali, e con lui ha stabilito una sorta di
patto di non belligeranza già dai tempi delle primarie per la scelta del candidato sindaco; e Pierfrancesco Maran, a capo
dell'urbanistica, che ha in mano alcune partite come il recupero degli spazi degli ex scali ferroviari, e che quindi tiene
i rapporti con Fs. Sala tende a togliere i riflettori dai suoi assessori; ma è anche vero che non scarica su di loro la responsabilità
di eventuali errori. La sua comunicazione intanto è affidata a consulenze esterne, e non agli uffici stampa interni.
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