Il risultato di ieri in Sardegna ha confermato la fiducia degli elettori per la coalizione del centro-destra e pure la disaffezione verso i 5 Stelle mettendo di nuovo Salvini alle prese con la stessa domanda: per quanto tempo - e a quale prezzo - può continuare a giocare due ruoli a livello nazionale e territoriale. Un’ambiguità che dovrà risolvere ma che intanto è diventato il pane quotidiano del Governo. Perché se è vero che lui negava ogni ripercussione sulla tenuta dell’Esecutivo, da Londra, le parole più fredde verso Di Maio sono state del leghista Giancarlo Giorgetti. «Noi andiamo avanti per la nostra strada, gli elettori ci premiano, se altri hanno qualche problema è giusto che decidano loro come risolverlo». A margine di un forum con investitori e analisti della City organizzato all’ambasciata d’Italia dallo studio legale Legance, il sottosegretario a Palazzo Chigi non solo ha detto che la debolezza dell’alleato è un tema aperto, ma che in qualche modo questo avrà un riflesso per il Governo. Se infatti gli elettori premiano un partito e “puniscono” l’altro, questo spinge naturalmente l’asse dell’Esecutivo verso politiche che appartengono più alla Lega che al Movimento e lo stesso tour di Giorgetti nelle piazze finanziarie di Londra - e poi di New York - ne sono in qualche modo la prova.
Perché proprio lui ieri è andato a rassicurare gli investitori internazionali parlando della solidità dell’Italia e scansando l’ipotesi di una manovra correttiva? In teoria sarebbe un mestiere da ministro dell’Economia ma, senza lasciarsi andare a scenari futuribili, il dato di oggi è che il volto rassicurante verso i mercati è quello di un esponente della Lega. Insomma, già in questa scelta – certamente concordata con Salvini e nel Governo – c’è uno slittamento del baricentro politico verso il Carroccio. Politico e pure economico visto che Giorgetti è andato a garantire un percorso finanziario in caso di crisi, o meglio per evitare una crisi.
Non c’è dubbio, infatti, che l’agenda di qui al voto di maggio non potrà essere scritta solo sui temi dell’immigrazione e della sicurezza, gioco o forza l’economia riprenderà spazio se non altro per le scadenze che sono improrogabili come i giudizi di altre due agenzie di rating, i dati sul Pil del primo trimestre di quest’anno, la scrittura del Documento di programmazione economica e finanziaria. La corsa elettorale avrà uno spartito tutto nuovo da scrivere per Salvini e quella visita in due tappe di Giorgetti in qualche modo anticipa un fatto: cioè che pure su questo fronte la Lega vuole conquistare il ruolo di primo piano. E che la strategia di Salvini non sarà quella di mettersi - lui - davanti a un bivio ma farà in modo di metterci i 5 Stelle costringendoli a scegliere su una serie di dossier economici. Che il vento tiri da quella parte lo dimostrano le parole di Tria che ieri, senza mezzi termini, ha puntato l’indice sui grillini se gli investimenti non decollano. «Non mi interessa l’analisi costi-benefici. Il problema non è la Tav, il problema è che nessuno verrà mai a investire in Italia se un governo non sta ai patti, cambia i contratti, cambia le leggi e le fa retroattive». Il cerino è già passato di mano.
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