Non solo sul Ponte Morandi e non solo dopo il suo crollo. I sospetti di sottovalutazione dei rischi sulla rete di Autostrade per l’Italia (Aspi) e di aggiustamento a posteriori di verifiche tecniche partono – riguardo ai vent’anni di gestione Benetton – da fatti della seconda metà del decennio scorso. Coinvolgono nomi che tornano nelle indagini di Genova, sulla tragedia del 14 agosto (43 morti) e sulle presunte carenze di sei ponti in tutta Italia. E possono far rileggere la sentenza di primo grado che l’11 gennaio scorso ha assolto i vertici aziendali per la strage del bus precipitato dal viadotto Acqualonga (sulla A16, presso Avellino, 40 morti), condannando solo i responsabili locali, per il cedimento di una barriera laterale.
Tutto parte dalla camorra
Il nuovo possibile filone d’indagine è racchiuso tra le carte di un’inchiesta già chiusa: quella della Procura di Roma (su
input arrivati anche da Torino, Milano, Firenze e Napoli) sui lavori svolti da imprese riconducibili alla famiglia Vuolo di Castellammare di Stabia (Napoli) con legami di camorra (clan D’Alessandro e Nuvoletta), che nella seconda metà dello scorso decennio ha costruito per Aspi - senza operai qualificati e con certificazioni false - 15 nuovi svincoli (cavalcavia, caselli e portali segnaletici) tra Piemonte, Lombardia, Emilia-Romagna, Toscana, Marche,
Lazio e Campania, con tre crolli. Tutto è stato denunciato da un ex dipendente, Gennaro Ciliberto, che ha indagato in incognito ed è sempre stato ritenuto attendibile. Tanto che ha ricevuto varie minacce.
A maggio si terrà l’udienza preliminare, dove si deciderà sulla richiesta di rinvio a giudizio di 11 persone, tra cui due dipendenti di Aspi e due della Pavimental (la società dello stesso gruppo che esegue e subappalta lavori). Aspi è parte lesa e al Sole 24 Ore ha dichiarato che «sono assolutamente positive tutte le iniziative di indagine che consentano alla società di avere contezza di comportamenti non regolari da parte di propri dipendenti».
L’indagine non è andata molto in profondità. Ma contiene atti e intercettazioni telefoniche, a cavallo tra il 2012 e il 2014. Che, come fa notare Aspi, «sono state ritenute irrilevanti sul piano penale». Ma, lette complessivamente oggi - dopo il crollo del Ponte Morandi - sembrano indicare un modo di operare teso a mettere in primo piano la tutela dell’immagine dell’azienda, anche con comportamenti disinvolti. Quelli su cui sta indagando la Procura di Genova, in tre filoni: quello sul crollo vero e proprio, quello sui presunti depistaggi di tali indagini e quello sulle presunte carenze di altri sei viadotti in varie parti d’Italia.
Nomi che non si possono vedere
Sembra sintomatico ciò che succede il 31 ottobre 2013, quando la Polizia sequestra il cavalcavia di Ferentino, nel tratto
Roma-Napoli dell’A1. L’allora responsabile esercizio del Tronco di Cassino, Davide Bergantin (mai indagato), che riceve la
notifica, accantona la stampata di una mail spiegando che sopra ci sono troppi nomi. Tra essi, gli agenti scorgono quelli
di Riccardo Mollo (all’epoca direttore generale), di due dei suoi più fidati collaboratori (Costantino Ivoi e Gianni Marchi, che secondo l’accusa è uno dei due dipendenti Aspi direttamente in contatto con i Vuolo, oltre a Vittorio Giovannercole) e di Enrico Valeri.
Valeri è l’alto dirigente destinatario della mail notturna con cui, a poche ore dal crollo del Ponte Morandi, la responsabile commerciale del Cesi-Centro elettrotecnico sperimentale italiano (poi allontanata dall’azienda assieme al suo superiore) “certificava” che dai test fatti Aspi non avrebbe avuto colpe. Quindici anni fa, Valeri era uno dei manager che si occuparono di un’altra operazione delicata: lo sviluppo del Tutor, che l’anno scorso la Corte d’appello di Roma ha dichiarato frutto di contraffazione.
Pare ricoprire un ruolo fiduciario anche Marco Vezil, ingegnere della Spea (la società del gruppo che si occupa di progettazione e controlli tecnici, nell’occhio del ciclone per il Morandi), ora fra gli indagati dell’inchiesta di Genova sui sei ponti, i cui report sulla sicurezza sarebbero stati edulcorati. Nelle intercettazioni della Procura di Roma, Vezil appare molto attivo per sistemare più di un problema. In modo non sempre ortodosso: per esempio, nel chiudere dopo due anni i collaudi sulla pavimentazione della Torino-Savona rifatta nel 2010-2011, rileva che un collaudatore è ormai in pensione e organizza per far firmare il direttore tecnico della Pavimental, Mauro Martinelli, che acconsente. «Ci metto che c’eri tu?». «Sì, sì, fai così, fai così, dai, firmo io». Oggi Vezil dichiara : «Non ricordo questa circostanza, ma ritengo sia stata positivamente accertata, in quanto ritenuta non rilevante», visto che per lui il pm romano Francesco Dall’Olio non ha chiesto il rinvio a giudizio.
A Vezil, insieme con Marchi, viene dato il compito (col benestare di Mollo, ricostruisce la polizia) di scegliere una squadra che segua i delicati sopralluoghi a Ferentino, sul cavalcavia sequestrato, sul casello e sui portali segnaletici a rischio crollo. Nella squadra anche Maurizio Ceneri, oggi coordinatore dei tecnici Spea, sospettato di aver edulcorato i report sul Morandi.
«Non se ne rendono neanche conto»
Durante i sopralluoghi a Ferentino, il perito della Procura, Andrea Demozzi, dice di voler controllare anche i portali. Ciò
fa impallidire Marchi, consapevole che erano tra quelli costruiti dai Vuolo come come quello crollato sempre in A1, a Santa
Maria Capua Vetere, il 26 dicembre 2011. Tanto che Marchi e Vezil pianificavano di smontarli «uno per volta», così «probabilmente non se ne rendono neanche conto». Il tutto «di notte…di notte…capito?».
Le pressioni per sbloccare
Lo svincolo di Ferentino fu realizzato con un contributo di 1,1 milioni di euro della Regione Lazio. Che il sequestro mise
a rischio, impedendo di chiudere la documentazione di collaudo. Il 10 dicembre 2013, Mollo chiese a Marchi di convincere il
collaudatore a rilasciare un documento provvisorio «che copra il manufatto al netto della…della…del cavalcavia», muovendolo «eventualmente a compassione, visto che non possiamo minacciarlo».
Richiesta bollata da Ivoi con un «ma cazzo, ma quale collaudatore con un sequestro in atto si prende…» la responsabilità di firmare. E forse fu proprio la contrarietà di Ivoi che alla fine portò a rallentare, perdendo il finanziamento.
Entrò in scena anche Vezil, facendo pressione sull’impresa esecutrice dei lavori di risanamento, forse preoccupata di lavorare su strutture sotto sequestro e certamente conscia che solitamente Aspi non apre cantieri sotto le feste natalizie. Vezil taglia corto: «Non m’hai capito bene che qui mettiamo in campo Castellucci (l’amministratore delegato, ndr) e Castellucci fa quello che cazzo vuole qui, capisci?». Aspi tiene a precisare che «si tratta evidentemente di dichiarazioni gratuite da parte di una persone con cui Castellucci non ha mai avuto rapporti né diretti né indiretti. Dichiarazioni alle quali non ha mai fatto seguito alcun atto riconducibile all’ad. Che si riserva ogni azione a tutela».
Ora Vezil si «rammarica fortemente» di quelle sue parole e dichiara che la sua preoccupazione non era il sequestro, ma i tempi di lavorazione.
Il clima aziendale e la sicurezza
In effetti, è molto probabile che Vezil esagerasse. Ma ciò indica un clima aziendale, dato che anche Mollo premeva come si
è visto. Conferme del clima vengono da altre intercettazioni: vertici molto esigenti, al cospetto dei quali occorre ben figurare.
Ma questo pretendere il meglio non sembra riguardare alcuni aspetti legati alla sicurezza: dai lavori fatti male da Mario Vuolo (mal visto sia da Castellucci sia da Mollo, come testimonia Ciliberto, ma tollerato per anni) alle condizioni di certe barriere (come quella che ha ceduto ad Acqualonga, secondo la sentenza di primo grado). Fino all’affidamento dei lavori per rimediare agli errori di Vuolo (ancora in corso nel 2014, quando il primo crollo risale al 2008) proprio a Marchi, che oltretutto ancora l’estate scorsa aveva ricoperto il delicato incarico di Rup (responsabile unico del procedimento) in interventi sulla rete relativi alla sicurezza.
Negli atti del processo, più di una fonte parla di errori e anomalie nelle saldature delle imprese di Vuolo che sarebbero stati evidenti immediatamente. E ancora il 9 novembre 2012, quando i crolli avvenuti avrebbero consigliato prudenza, Giovannercole parlava con un geometra dei Vuolo su come truccare le certificazioni delle saldature evitando di effetuare test: «Se il loro incaricato dell’ente certificatore dichiara che tutto sta a posto, non fanno un cazzo…va bene? Che non facciamo prelievi; va bene che non facciamo danni…ci siamo capiti da buon intenditor…».
Giovannercole parlava già da dipendente della Sat, società dello stesso gruppo (gestisce un piccolo tratto toscano dell’A12) nella quale fu trasferito nel 2010 con funzioni defilate, pare proprio per voci che correvano già allora sul suo conto. Ma qui e in altre intercettazioni si vede che almeno sino a fine 2013 si occupava ancora di lavori e sicurezza. Forse solo perché doveva chiudere suoi precedenti incarichi da Rup, ma non è certo.
Ora sui comportamenti di Marchi e Giovannercole, Aspi non si esprime, perché c’è in corso il procedimento penale di Roma. Dice che verificherà, eventualmente sanzionandoli anche dal punto di vista disciplinare.
Castellucci però, parlando agli analisti giovedì scorso sui conti 2018 di Atlantia, ha detto: «Da ulteriori controlli possiamo confermare che la rete autostradale gestita dalla società è assolutamente sicura e non ci sono rischi».
La settimana scorsa il New Tork Times, in un lungo articolo, ha sottolineato anche un’anomalia italiana: i controlli li fa non un ente terzo, ma la Spea. Che è dello stesso gruppo e sulla quale Aspi avrebbe un «controllo assoluto» che arrivava a decidere le promozioni. Lo ha dichiarato al giornale americano Giulio Rambelli, ex progettista di ponti proprio per Spea.
Vertici a responsabilità limitata
Nelle intercettazioni, Marchi, emerge come geometra ambizioso. Parla tanto, forse anche a sproposito. Certo è che si fa sfuggire
un particolare sulle strategie aziendali per ripartire le responsabilità tra i dirigenti, annotato dalla polizia: dopo la
strage del viadotto Acqualonga, i direttori di tronco (responsabili delle nove direzioni territoriali Aspi) si sarebbero «incazzati perché erano gli unici dirigenti a sacrificare il culo in prima linea».
Sarebbe infatti stato solo all’epoca che l’azienda avrebbe dato loro un portafoglio illimitato di spesa, perché prima «potevano dire che non avevano i soldi», cosa che avrebbe tirato in ballo responsabilità dei vertici nazionali.
Il cambio di strategia, se venisse dimostrato, si sarebbe rivelato azzeccato: nel processo di primo grado per Acqualonga le condanne si sono fermate alla direzione di tronco. Aspi però smentisce e afferma che i direttori di tronco hanno portafogli illimitato sin da quando la società era controllata dallo Stato.
I Rolex regalati
Ciliberto afferma che Vuolo ha regalato anche a Mollo uno dei Rolex con cui era solito corrompere funzionari e dirigenti Aspi
(si parla anche di buste di contanti). Ma perquisizioni sembrano essere state effettuate, con esito positivo, solo presso Vittorio Giovannercole (ingegnere di cui Marchi era subalterno) e Riccardo Scorsone (geometra Pavimental in pensione).
Così non è stato riscontrato un curioso episodio riferito da Ciliberto, secondo cui Giovannercole avrebbe ricevuto da Vuolo un Rolex da consegnare a Mollo, che però non lo ricevette; Vuolo lo avrebbe scoperto parlando con Mollo e avrebbe “rimediato” prontamente acquistandone un altro.
RICHIESTA DI RETTIFICA
Egregio Dott. Maurizio Caprino,
si fa seguito all'articolo pubblicato in data odierna sul sito del Sole 24 ore dal titolo “Da Ferentino al Ponte Morandi,
i lavori sospetti affidati da Autostrade” a sua firma, per chiederLe l'immediata rettifica della seguente affermazione in
esso contenuta: “dai lavori fatti male da Mario Vuolo (malvisto sia da Castellucci sia da Mollo) come testimonia Ciliberto
ma tollerato per anni) ... “.
Si precisa infatti che Castellucci non ha mai avuto rapporti con il Sig. Mario Vuolo che gli consentissero di avere un'opinione
ancorché negativa - “malvisto” - sul suo operato.
Ed infatti lo stesso Ciliberto nega qualsiasi coinvolgimento nella vicenda dell'ing. Castellucci.
Attribuire all'ing. Castellucci dei rapporti o anche semplicemente una conoscenza con il Sig. Vuolo tanto da poterne valutare
l'operato, costituisce di per sè affermazione diffamatoria.
Il tutto con la più ampia riserva di far valere i propri diritti già lesi nelle sedi più opportune.
Avv. Faustino Petrillo
Autostrade per l’Italia
Agli atti dell’inchiesta di Roma c’è, tra le altre cose, la seguente dichiarazione di Gennaro Ciliberto: «All’inaugurazione
del casello di Capannori , dove io ero presente, il Vuolo Mario ha attaccato degli adesivi della Carpenfer Roma srl sui portali
della pensilina come era fare solito, in quel frangente il Mollo Riccardo presente accortosi di questi adesivi si infuriò
al punto tale da rimproverare Giovannercole e ci fu uno scontro tra Vuolo e Giovannercole, poiche lo stesso Vittorio aveva
preteso che il Vuolo portasse la sua Ferrari 430 col rosso e che sfilasse come prima auto al casello, infatti il Mollo riteneva
in quel periodo imbarazzante la presenza di Vuolo , poiche a quell’inagurazione c’era anche ing. Castellucci e il Ministro
dell’poca Matteoli.
Il Mollo in quell occassione disse che mai più avrebbe voluto Vuolo Mario davanti ai suoi occhi .
Cosa che poi non è avvenuta .
P.s.: in quell’occasione il Castellucci non volle fare la foto con Vuolo e come rappresentanza dell azienda la fecero fare
al sottoscritto».
M.Cap.
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