La rivoluzione delle tariffe autostradali è iniziata ieri, senza clamori. L’Autorità di regolazione dei trasporti (Art) ha messo in pubblica consultazione sul proprio sito internet una delibera che fissa i nuovi criteri. Per superare lo scandalo suscitato dopo il crollo del Ponte Morandi lo scorso agosto, quando finì sotto gli occhi di tutti il fatto che il sistema tariffario consente remunerazioni molto alte degli investimenti. Ora si va verso tariffe “uguali” per ogni gestore. Con tagli programmati per costringere gli operatori a cercare di ridurre i costi e ulteriori riduzioni quando i profitti superano le previsioni.
La mossa dell’Art, anticipata un mese fa dal Sole 24 Ore, è stata resa possibile dal decreto Genova dello scorso autunno, nelle cui pieghe si stabilisce che ora l’Autorità non è più competente solo per le nuove concessioni, come invece fu deciso quando la si costituì, nel 2011. Una decisione che ha fatto sospettare si volesse difendere il sistema attuale: uno spezzatino di sette metodi diversi, concordati in modo perlopiù opaco tra lo Stato e ogni singolo gestore.
Il nuovo sistema si basa sul principio del price cap applicato in modo “pieno”. Cioè su aumenti legati al miglioramento del servizio e calmierati dal fatto che al gestore si impone un recupero di efficienza nel tempo, perché quello delle autostrade è uno dei casi in cui i costi normalmente diminuiscono con gli anni, quando gli investimenti sostenuti per costruire, adeguare o salvaguardare l’infrastruttura tendono a essere ammortizzati.
Di per sé non è una novità: si era deciso di fare così già vent’anni fa. Ma poi si fecero eccezioni. La più importante riguardò Autostrade per l’Italia (che gestisce circa la metà della rete totale nazionale ed è nell’occhio del ciclone proprio per il crollo del Ponte Morandi): alla fine delle complesse vicende del 2006-2008 iniziate con lo stop di Antonio Di Pietro all’aggregazione Autostrade-Abertis e culminate con il cosiddetto salva-Benetton, si stabilì di eliminare il price cap per questa società.
I tecnici della Ragioneria dello Stato e del Cipe espressero tutte le loro perplessità, l’Antitrust scese in campo con una segnalazione. Ma non ci fu nulla da fare, di fronte alla volontà della maggioranza parlamentare. Così ora abbiamo gestori soggetti in qualche modo al price cap e gestori che non lo sono.
A questo si aggiunge l’abitudine di sottostimare gli incrementi del traffico nel tempo. Prima della crisi economica di dieci anni fa, il trend era sempre nettamente positivo, ma i gestori facevano previsioni prudenti. Lo scopo era minimizzare il totale degli incassi futuri, per convincere lo Stato a concedere rincari tariffari che consentissero di far quadrare comunque i conti. Se poi il traffico aumentava più delle previsioni, i pedaggi incassati in più restavano comunque al gestore.
Ora si prova a ripristinare un quadro uguale per tutti, in cui escamotage del genere siano più difficili. Si comincerà dalle concessionarie che sono in fase di rinnovo del loro piano finanziario (il documento quinquennale che stabilisce il quadro di costi e ricavi, tra cui quelli per investimenti e pedaggi). Successivamente l’Art emanerà provvedimenti per altre concessionarie, man mano che si arriverà alle rispettive scadenze.
Sulla delibera messa in pubblicazione ieri gli interessati potranno formulare osservazioni e proposte entro il 29 marzo. Il procedimento si chiuderà il 28 giugno.
Nel frattempo, si dovrà mettere mano ai controlli: la base degli aumenti tariffari è negli investimenti e in altri costi che
finora è stato possibile far apparire più alti di quelli effettivamente sostenuti. D'ora in poi, alla vigilanza del ministero
delle Infrastrutture si aggiungerà quella della nuova agenzia istituita sempre dal decreto Genova, che prevede anche nuove
assunzioni di ingegneri.
L'Ansfisa ha mosso i primi passi a metà gennaio, con la nomina del direttore. Vedremo come verranno ripartite risorse e competenze
con il ministero.
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