Ora che è arrivato il via libera di Telt alla pubblicazione degli avvisi di avvio delle gare, comincia un conto alla rovescia. Che riguarda l’Alta Velocità e il suo destino ma che riguarda soprattutto la volontà politica di Lega e 5 Stelle di far durare il Governo oppure no. E se le posizioni dovessero restare quelle di oggi, Salvini per il sì e Di Maio fermo sul no, questo porterebbe allo sbocco indicato da Giorgetti: il voto in Parlamento, l’unico passaggio in grado – eventualmente – di bloccare l’opera perché andrebbero azzerati i Trattati internazionali con cui è stata decisa. È chiaro che quella diventerebbe la tappa finale dell’esperienza dell’Esecutivo giallo-verde che non potrebbe durare a fronte di un voto parlamentare con la Lega schierata con l’opposizione di Forza Italia e Pd e il Movimento dalla parte opposta. Anche se i due vicepremier negano qualsiasi scossone per effetto della Tav, quel passaggio alle Camere sarebbe invece dirompente, l’ultima tappa dell’esperienza grillino-leghista.
E non è un caso che tutti i principali esponenti penstastellati abbiano ormai preso di mira Giancarlo Giorgetti, perché vedono in lui l’artefice di una manovra di sganciamento della Lega dall’Esecutivo, il regista di un’operazione per un ritorno alle urne con un nuovo progetto interamene nel campo del centro-destra. Hanno poco senso infatti quelle accuse al sottosegretario leghista di fiancheggiare i “poteri forti” solo per i colloqui avuti con Draghi – che ha mantenuto un cordone di sicurezza anche sui nostri titoli di Stato - o per gli incontri con la comunità finanziaria internazionale, se non per attaccare quell’area del Carroccio a cui sta sempre più stretta l’alleanza con Di Maio.
La decisione di Telt di ieri ha quindi solo cristallizzato delle posizioni politiche, ratificato una tregua armata che dopo le elezioni europee dovrà prendere un verso. E di questo verso dovrà occuparsene Conte la cui missione è proprio quella di evitare quel voto in Parlamento sulla Tav e cercare di spuntare una mediazione di sostanza, non di forma come quella attuale. Che margini ha? Solo quelli che gli consentiranno gli azionisti di Governo. Il punto infatti non è tanto quello che riuscirà a strappare alla Francia o all’Europa in termini di revisione dell’opera o di finanziamenti, ma il nuovo rapporto di forza che uscirà dalle urne europee. Se oggi il premier ha potuto costruire un compromesso scrivendo quella lettera a Telt, è perché non c’era la volontà di Salvini e Di Maio di rompere.
Insomma, è stato possibile trovare l’artificio – anche sbilanciandosi sui 5 Stelle - perché non c’era alcuna intenzione di fare la crisi. Troppo presto per Salvini che attende il voto sull’autorizzazione a procedere sulla Diciotti il 20 marzo e si prepara alla campagna elettorale per certificare il sorpasso sul Movimento; impensabile per Di Maio che da qui alle europee deve giocarsi il tutto per tutto con il reddito di cittadinanza. In pratica la Tav non si ferma ma consente a entrambi un argomento, basta declinare al futuro il verbo: si farà o non si farà. Agli elettori l’ultima scelta.
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