Digital analyst. Digital project manager. Digital media specialist. Basta una rapida occhiata alle posizioni lavorative aperte in Fendi, icona del lusso globale, per capire come la “fame” di competenze tecniche, in questo caso digitali, non sia più relegata alle nicchie delle app, all’e-commerce o ai gruppi che per definizione maneggiano grandi quantità di dati, come i colossi dell’Ict, ma sia ormai fenomeno pervasivo.
Che si tratti di alimentare o di lusso, di meccanica o impiantistica, di elettrodomestici o farmaceutica, in nessun caso è oggi possibile fare a meno di nuove figure professionali in grado di gestire le nuove tecnologie 4.0, ormai protagoniste a 360 gradi: sia nei processi produttivi che nei prodotti diretti al mercato, arricchiti di “intelligenza” e connettività.
Evoluzione rapida che ha allargato il già preoccupante gap esistente tra domanda e offerta di competenze tecniche, riproposto in ogni statistica del mercato del lavoro e ben sintetizzato dallo squilibrio visibile al Politecnico di Milano: dove a fronte di 258 laureati magistrali in ingegneria informatica, le offerte delle aziende annue sono arrivate a sfiorare quota 4700. Ogni ragazzo può quindi scegliere tra 18 proposte.
Esito quasi scontato della fortissima accelerazione degli investimenti hi-tech realizzati dalle aziende nel biennio 2017-2018, sprint visibile nell’adozione di nuove tecnologie.
In particolare la connettività, che nell’Osservatorio Mecspe realizzato su un campione di oltre 300 aziende meccaniche, è presente in oltre sei casi su dieci, a poca distanza dalle tecnologie di sicurezza informatica, già da anni necessarie per poter operare.
Il trend è comunque avviato e anche le aree meno battute, come big data, internet delle cose e produzione additiva, vedranno nel 2019 una crescita di almeno il 50% del numero di soggetti coinvolti. Guardando ai profili digitali, le aziende identificano chiaramente nell’automazione un elemento cruciale. Ingegneri robotici, programmatori di intelligenze artificiali, e specialisti nella gestione dei big data sono in testa alla classifica dei profili più richiesti al 2030, con percentuali tra il 20 e il 25%.
L’autovalutazione delle capacità digitali aziendali, come naturale, tende probabilmente a sovrastimare il dato ma anche tenendo conto di questo è interessante notare come siano davvero poche (poco più del 10%), le aziende che tendono ad attribuirsi i punteggi più elevati, per una media complessiva che arriva poco oltre la sufficienza (5,6 in una scala da 1 a 9).
Interessante è notare come la classica offerta di lavoro tramite inserzione sia ormai una categoria quasi residuale nel reperimento di questi profili, utilizzata appena nel 13% dei casi.
Agenzie di ricerca del personale e rapporti diretti con università e istituti tecnici sono invece le strade più battute, un modo quest’ultimo utilizzato anche per “prenotare” i giovani già prima che si affaccino sul mercato. Dall’Osservatorio Mecspe, che prende in esame un campione rappresentativo, dunque particolarmente ricco di Pmi, emergono altri due dati interessanti. Ad investire in formazione più di 40 ore annue per dipendente è solo il 15,6% del campione, più di un terzo è al di sotto di dieci ore. Situazione migliorabile dunque. Così come migliorabile è la governance dei processi innovativi, affidata nel 60% dei casi alla figura apicale dell’imprenditore. Solo nell’1,6% dei casi esiste un chief digital officer, figura che invece nelle grandi aziende è sempre più frequente ed è spesso un riporto diretto dell’amministratore delegato.
Le crescita degli investimenti in nuove tecnologie è comunque reale, visibile anche dal lato dei fornitori di nuove soluzioni. «Ora siamo 12 - spiega Enrico Viganò, fondatore di Findynamic (azienda del settore fintech) - e cerchiamo almeno tre sviluppatori. Da un paio di mesi ormai, perché in effetti a trovarli si fatica parecchio». «Vorrei ampliare il team tecnico di almeno 4 unità - aggiunge il cofondatore di Satispay (servizi di mobile payment) Dario Brignone - e da qui a fine anno speri di trovarli. I candidati in realtà sono parecchi, ma ad avere le competenze richieste è una percentuale minima». «L’offerta numerica di Università e scuole tecniche non è sufficiente - aggiunge il responsabile delle risorse umane di Engineering (sviluppo software e piattaforme digitali) Claudio Biestro - e anche noi facciamo fatica. Ad ogni modo stiamo tenendo un passo di 100-150 assunzioni al mese, forse anche prima di giugno raggiungeremo il target di 500 nuovi ingressi. Necessari, visto che la domanda dei nostri servizi cresce: nell’industria, ad esempio il progresso è dell’8%».
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