Un Piano speciale per salvare i fondi per il Sud. L’iniziativa, stando almeno alle ultime bozze, dovrebbe essere contenuta nel decreto crescita che arriverà sul tavolo di Palazzo Chigi probabilmente la prossima settimana. Ci sono anche alcuni aspetti da definire, ma la cornice è chiara: porre rimedio al flop del Fondo per lo sviluppo e la coesione che, come documentato in un articolo del Sole 24 Ore, ha percentuali di spesa che per il periodo 2014-2020 sono ferme all’1,5% delle risorse programmate (492 milioni su 32,1 miliardi). Ci si ferma all’1,9% per la sottosezione rappresentata dai Patti per lo Sviluppo (276,6 milioni su 14,3 miliardi programmati). Con i Patti per il Sud, in particolare, in netto ritardo.
Obiettivo: mettere ordine in una «babele» di oltre 1.000 strumenti
Il ministero per il Sud, insieme all’Agenzia per la coesione territoriale, vorrebbe correre ai ripari riorganizzando la governance di oltre 1.000
strumenti in cui è polverizzato il Fondo: 785 accordi di programma (Apq) relativi alla programmazione 2000-2006, 188 Apq
rafforzati (2007-2013), 30 programmi del Pac (Piano azione coesione) 2007-2013, 11 Programmi operativi nazionali 2014-2020,
23 patti per lo sviluppo (11 Regioni, 12 patti delle Città metropolitane), 20 Poc (Programmi operativi complementari) 2014-2020.
Una frammentazione che secondo il ministero ha contribuito a un disordine che ha penalizzato le performance di spesa, in
quanto ogni strumento ha le sue specifiche modalità di attuazione, di monitoraggio e di governance.
Di qui l’idea di accentrare gli strumenti in un unico “Piano sviluppo e coesione”, con modalità unitarie di gestione e monitoraggio. Non una novità assoluta, in realtà. Simili azioni di razionalizzazione erano state tentate, senza grandi successi, anche in passato. Tuttavia il governo gialloverde pensa di imprimere un reale miglioramento questa volta, anche con un forte coinvolgimento di Comitati di sorveglianza che dovranno essere costituite da tutte le amministrazioni titolari dei singoli piani con la partecipazione di rappresentanti della presidenza del consiglio e dei ministeri competenti per area tematica. I compiti dei Comitati andranno dall’approvazione dei criteri per la selezione dei progetti alle verifiche sull’attuazione. I Comitati potranno proporre misure di accelerazione, nonché contestare eventuali inadempienze dei soggetti coinvolti.
Riprogrammazione per le risorse che restano fuori dal Piano
Il nuovo Piano sviluppo e coesione conterrà gli interventi dotati di progettazione esecutiva o con procedura di aggiudicazione
già avviata ma anche quelli che hanno avuto almeno parere favorevole delle strutture tecniche di Palazzo Chigi in ragione
- ad esempio - dello stato di avanzamento della progettazione o della reale possibilità di generare impegni vincolanti entro
il 2021. Ci saranno misure di accelerazione della spesa proprio da parte delle nuove strutture tecniche previste a Palazzo
Chigi.
In base alla bozza del decreto, le risorse che non dovessero rientrare nel Piano - incluse quelle non impiegate perché i corrispondenti
progetti sono poi stati finanziati con fondi Ue a rischio di disimpegno - saranno riprogrammate con un successivo Dpcm per
essere assegnate in buona parte alla costituzione di un “Fondo per la progettazione degli interventi infrastrutturali” e a
“programmi di piccole opere e manutenzioni straordinarie” per infrastrutture stradali, ferroviarie, aeroportuali, idriche
e per arginare il dissesto idrogeologico.
La tagliola che scatta per le nuove risorse
La bozza, relativamente alle nuove risorse, prevede anche una «tagliola» per i progetti che restano fermi per tre anni. Il riferimento è agli stanziamenti assegnati al Fondo sviluppo e coesione dall’ultima legge di bilancio, pari a 4 miliardi fino al 2023 (800 milioni all’anno). Tutte le proposte di assegnazione di risorse da sottoporre al Cipe devono essere corredate della positiva valutazione tecnica da parte delle competenti strutture della presidenza del consiglio. Le assegnazione decadono se non danno luogo a «obbligazioni giuridicamente vincolanti» entro tre anni dalla relativa delibera Cipe. E le risorse non possono essere riassegnate alla stessa amministrazione.
Investimenti nelle zone economiche speciali
Un’ulteriore norma contenuta nella bozza del decreto crescita già delinea l’assegnazione di 300 milioni del Fondo sviluppo e coesione. Se la proposta avrà il via libera finale, questa dote (150 milioni a valere sul 2019 e 150 sul 2020) sarà utilizzata per creare un “sotto fondo”, denominato Piano grandi investimenti. Il Piano dovrà essere la base per effettuare investimenti diretti dello Stato, in forma di debito o di capitale di rischio, o per sottoscrivere quote di fondi di investimento e di fondi di fondi a supporto di operazioni private da effettuare nelle Zone economiche speciali.
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