Articolo tratto da www.lavoce.info
Dal governo stime “prudenti”
Il dibattito su “quota 100”, l'intervento normativo che nel corso dei prossimi tre anni consentirà ai lavoratori con almeno
38 anni di contributi e 62 anni di età di accedere in anticipo al pensionamento rispetto ai 67 anni, si è concentrato sul
numero dei potenziali fruitori del provvedimento, sulla stima della riduzione nell'importo della pensione che seguirebbe all'anticipo
e sul suo impatto sui conti pubblici nel breve e nel medio termine. Minore spazio è stato dedicato invece a capire chi, tra
coloro che possono chiederlo, avrebbe effettivamente richiesto l'anticipo pensionistico.
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Prudenzialmente, l'esecutivo ha stimato nell'85 per cento la percentuale di coloro che faranno richiesta, avendone maturato i requisiti. La ragione della prudenza, con una stima di adesione relativamente elevata, va probabilmente ricercata nella delicatezza che l'operazione riveste per l'equilibrio dei conti pubblici e di quelli pensionistici. Meglio quindi stimare una percentuale alta piuttosto che rincorrere richieste maggiori di quanto messo a bilancio.
La scelta dell'età a cui uscire dal mercato del lavoro è peraltro un'operazione complessa e di non facile lettura. Nel passato gli italiani hanno scelto prevalentemente due strade per il pensionamento. La prima è stata quella di seguire la norma sociale associata all'età di pensionamento di vecchiaia, molto inferiore a quella richiesta dalle regole attuali. La seconda strada per il pensionamento è stata percorsa, soprattutto a partire dagli anni Novanta, da coloro che maturavano i requisiti per l'uscita in anticipo rispetto all'età “legale” di pensionamento: parliamo della pensione di anzianità.
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La regola retributiva, di fatto in vigore ancora oggi per la grande maggioranza dei soggetti che possono accedere alla pensione, assicura un regalo, quantificabile in qualche decina di migliaia di euro lungo il ciclo di vita, a chi può anticipare l'età di pensionamento. Il regalo deriva dal fatto che la regola retributiva non tiene in considerazione l'aspettativa di vita al momento del pensionamento: ne segue che, a parità di altre condizioni, anticipare l'uscita è sempre conveniente per il lavoratore e sempre costoso per lo stato. Anche senza essere abili nei calcoli finanziari il messaggio sembra essere passato con chiarezza tra coloro che sono andati in pensione negli ultimi decenni. Le pensioni di anzianità erano infatti pari al 25 per cento del totale delle pensioni da lavoro nel 1995. Sono arrivate a essere il 48 per cento nel 2017 (ora chiamate pensioni anticipate). Una crescita dovuta a differenti fattori: la maturazione del sistema pensionistico, il progressivo aumento dei requisiti per le pensioni di vecchiaia a partire dal 1993, l'incertezza, crescente, sul permanere di questo istituto, oltre alla convenienza finanziaria. Sul tema si veda ad esempio l'ultimo Rapporto annuale dell'Inps e in particolare i dati riportati nella figura 4.3 di pag. 189.
Chi ha scelto quota 100
Quota 100 ha di fatto aperto una nuova e più favorevole via per il pensionamento anticipato, reso più difficile da raggiungere
dalla riforma Fornero. L'uscita rimarrà aperta per un periodo di tre anni. Il messaggio è chiaro: approfittatene finché siete
in tempo.
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I primi dati, rilasciati dall'Inps, sulle domande per l'anticipo offrono uno spaccato interessante, seppure non completo, delle caratteristiche di chi vuole passare per il pertugio aperto dall'esecutivo nelle strette maglie della normativa. Scopriamo così che delle 92.280 domande presentate fino al 14 marzo il 27 per cento erano di donne, il 34 per cento di individui di età inferiore a 63 anni, il 46 per cento di individui con età compresa tra i 64 e i 65 anni, il 34 per cento di lavoratori dipendenti del settore privato e il 36 per cento di lavoratori del settore pubblico. La distribuzione geografica evidenzia invece che al Sud le domande sono relativamente più numerose rispetto al resto del paese.
Un aspetto interessante è quello che deriva dalla relazione presentata nella figura 1. Ogni punto rappresenta una provincia.
In orizzontale c'è il Pil pro-capite provinciale (fonte Eurostat), in verticale la quota di lavoratori “anziani” (con più
di 54 anni) che ha presentato domanda per quota 100. È evidente la relazione negativa tra le due variabili. Alla luce della
figura sembra che, almeno fino a ora, quota 100 sia molto più richiesta nelle province con basso reddito medio. In Sicilia,
ad esempio, il 3 per cento dei lavoratori anziani ha presentato domanda, contro l'1 per cento in Trentino Alto Adige. È ragionevole
pensare che nelle province con basso reddito medio anche i lavoratori anziani abbiano redditi bassi.
Pur tenendo conto che il reddito pro-capite per provincia è correlato a molte variabili (tasso di partecipazione, disoccupazione e altro) e volendo azzardare un'interpretazione che richiede naturalmente maggiori conferme empiriche, possiamo dire che, almeno finora, hanno presentato domanda per quota 100 lavoratori che si trovano in aree geografiche dove i redditi sono medio-bassi, c'è poca occupazione e dove la disoccupazione è più alta. Potrebbe dunque trattarsi di disoccupati, lavoratori agricoli o stagionali, o autonomi in crisi, oppure di persone che possono mantenere un tenore di vita dignitoso anche con una pensione bassa purché sicura, soprattutto in aree con costo della vita contenuto.
Questi dati, oltre a non riflettere, almeno per ora, l'aspettativa che quota 100 fosse un'operazione rivolta principalmente alla parte più produttiva della nazione, permettono di evidenziare come fattori legati alla stabilità e alla soddisfazione del lavoro svolto possano giocare un ruolo non trascurabile nella scelta di pensionamento: l'incentivo finanziario sembra più appetibile quando il reddito è medio-basso e la disutilità del lavoro è più alta.
Se la tendenza sarà confermata nei prossimi mesi, quota 100 potrebbe rivelare aspetti in parte vicini a quelli del reddito di cittadinanza: una misura che si rivolge alle fasce più deboli della società italiana, in grandi difficoltà dopo anni di crisi e di cambiamenti strutturali nei mercati.
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