Sono passati quasi 70 giorni dalle prime anticipazioni che attribuivano al governo e all’«imminente» decreto sbloccacantieri la volontà di accelerare grandi e piccole opere italiane mediante la nomina di commissari straordinari dotati di poteri eccezionali, in deroga alle farraginose procedure ordinarie. E dei commissari non si vede neanche l’ombra.
Ieri si è svolta la prima seduta dedicata al decreto legge al Senato, in commissione Lavori pubblici, dopo una gestazione molto complicata e poco efficiente, con addirittura due approvazioni in Consiglio dei ministri e tante liti in mezzo fra Lega e Cinquestelle. Alla fine, i poteri eccezionali sono stati partoriti come modello astratto di intervento, ma tutta la scommessa ora è nel mantenere quel carattere potente di straordinarietà e di rapidità che consenta di vincere una battaglia che hanno perso tutti i governi - anche più coesi e più coerenti di questo - negli ultimi quindici anni.
La novità di queste ore non lascia presagire una evoluzione di questo tenore. Passeranno infatti altri 50 o 60 giorni (per un totale che a quel punto supererà i quattro mesi) per vedere la nomina del primo commissario straordinario. Per vederlo all’opera, di questo passo, bisognerà certamente attendere la seconda metà dell’anno. Non è ancora una certezza ma un orientamento: il governo ritiene infatti necessario attendere la conversione del decreto in legge per passare alla fase operativa.
Intendiamoci: questa è la regola ordinaria ed è una buona regola, rispettosa di una buona prassi costituzionale. Prima di emanare atti giuridicamente rilevanti, che per altro hanno pesanti impatti su amministratori pubblici, imprese e cittadini, per giunta con poteri derogatori rispetto alle norme ordinarie, si attende che la fonte primaria, quindi il decreto legge, sia stabilizzato. In aggiunta qui c’è anche la riforma delicatissima del codice degli appalti: una pentola che, una volta scoperchiata, rischia di non chiudersi più.
Proprio qui, però, è il punto. In condizioni ordinarie accade questo ed è giusto che sia così. La normativa sbloccacantieri è stata però annunciata - giustamente - come una specie di legislazione di guerra, la guerra dei cantieri, appunto. Veniva dopo la melina sulla Tav e voleva essere un segnale di riscatto. Veniva dopo i dati sul Pil del quarto trimestre 2018 e sulla «recessione tecnica» che ne scaturiva e voleva essere un segnale a tutto il mondo (a partire da Bruxelles) della volontà di riscatto. Il rilancio degli investimenti pubblici in Italia, la spesa di 150 miliardi stanziati e bloccati, il bisogno di tornare a fare crescita a tutti i costi erano diventati, in effetti, le priorità di questo governo e del Paese intero. Lo erano. E lo sono ancora. Ed è una priorità, bisogna dirlo senza false meline, che va affrontata con gli strumenti di una guerra perché con i mezzi annunci, le misure all’acqua di rose, le liti infinite sulle competenze delle centrali di progettazione, i dispetti su “pochi commissari, tanti commissari” o sulla lista delle opere da sbloccare non si andrà da nessuna parte.
Stamattina il dato del Pil dell’Istat ci ricorderà ancora una volta a che punto siamo. Magari usciremo dalla recessione tecnica, con un +0,1%, o forse invece ci resteremo ancora con crescita piatta. Ma nella sostanza nulla cambia e gli allarmi di 70 giorni fa sono gli stessi di oggi. Con la differenza che ormai un semestre se ne è quasi andato e di crescita indotta dalla politica economica del governo non si è visto ancora nulla. Chi si occupa di statistiche dell’economia reale e ancora più di conti pubblici sa bene che un semestre buttato via sul Pil vuol dire un anno buttato via. Non abbiamo settimane o mesi per invertire la rotta. Forse, giorni.
Senza infrangere delicati equilibri istituzionali dovrebbe essere la politica a fare la sua parte. Non la politica che da settimane dà uno spettacolo degradante di interessi di parte e meramente elettorali, ma la politica che si assume la responsabilità di decidere. Di decidere che il decreto legge sbloccacantieri si può convertire in due settimane e che nel frattempo il governo (e le forze politiche che ne fanno parte) può scegliere le trenta opere su cui mettere alla prova la sua capacità di fare. Diverse liste circolano già, un lavoro preliminare è stato fatto soprattutto da chi lavora sul campo, come Fs o Anas. Serve decidere. Se prima dell’estate non avremo segnali chiari, con i commissari all’opera per fare il possibile su un primo elenco di lavori, un altro anno sarà perso. E dopo tante battaglie perse, alla fine si perde anche la guerr
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