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Le gallerie sostengono Venezia

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Le gallerie sostengono Venezia

«Mother Tongue», 2017 (still) di Angelica Mesiti. Installazione video a due canali a colori ad alta definizione e suono surround, 17 minuti e 54 secondi. Fotografia Bonnie Elliot. (Courtesy l'artista e Anna Schwartz Gallery)
«Mother Tongue», 2017 (still) di Angelica Mesiti. Installazione video a due canali a colori ad alta definizione e suono surround, 17 minuti e 54 secondi. Fotografia Bonnie Elliot. (Courtesy l'artista e Anna Schwartz Gallery)

Dagli anni ’90 non si ferma il processo di biennalizzazione dell’arte, il fenomeno della proliferazione di esposizioni biennali in ogni parte del mondo. Gli ultimi esempi sono Oslo, Riga e addirittura Nolo, il toponimo in uso per indicare il quartiere di Milano a nord di Piazzale Loreto. Eppure la regina di tutte rimane la Biennale di Venezia (11 maggio - 24 novembre), un momento di visibilità internazionale e di consolidamento per la carriera di un artista. Quest’anno sarà una biennale molto contemporanea: il curatore Ralph Rugoff ha deciso di dare spazio solo ad artisti viventi, perché vuole guardare al presente e fornire, in tempi di estrema semplificazione, delle chiavi di lettura alternative di ciò che prendiamo come dati di fatto. Ma sarà anche una biennale “di mercato”, con tanti artisti rappresentati da gallerie blasonate: White Cube ne ha sette tra mostra e padiglioni, Kurimanzutto sei, Sprüth Magers, Marian Goodman e Gavin Brown cinque ciascuna, solo per citarne alcune. Una biennale che conferma scelte già compiute da musei e collezionisti privati, che in molti casi sostengono anche le produzioni delle opere (l’associazione di donatori privati Outset ha cofinanziato i padiglioni inglese, scozzese, finlandese, israeliano e un progetto di Edmund de Waal al ghetto ebraico). Pensiamo a nomi come George Condo (più di 1.300 passaggi in asta e un top price che supera i 5 milioni di euro), Julie Mehretu (anche lei all’asta arriva a 5 milioni di euro), Lee Bul (Lehmann Maupin ha appena venduto la sua grande installazione che dominava l’ingresso di Art Basel Hong Kong 2019 al museo privato How Art Museum di Shanghai, fondato dal collezionista cinese Zheng Hao), Carol Bove (le sue nuove sculture sono andate via come il pane allo stand di David Zwirner ad Art Basel Hong Kong e Art Cologne a 500.000 dollari l’una), Njideka Akunyili Crosby (per lei c’è una lista d’attesa di musei), Lawrence Abu Hamdan (nominato al Turner Prize 2019), ma anche artiste come Haris Epaminonda e Teresa Margolles già ben rappresentate nelle collezioni italiane. Lo stesso si può dire dei (soli) cinque artisti italiani tra mostra e padiglione Italia: Lara Favaretto, rappresentata da Franco Noero dal 2000, ha beneficiato sin dall’inizio della sua carriera di un buon mercato, inizialmente italiano ma poi internazionale, con partecipazioni alla Biennale anche nel 2005 e 2009, a Documenta nel 2012, a Skulptur Projekte Münster nel 2017 e personali al MoMA PS1 nel 2012 e al MAXXI nel 2015 (prezzi 20-250.000 euro). Gli ultimi musei a comprare le sue opere sono stati il Castello di Rivoli, Jameel Art Foundation (Dubai e Jeddah) e il Bass Museum di Miami Beach. Anche Enrico David (15-250.000 dollari da Michael Werner), Chiara Fumai (8-100.000 euro da Guido Costa Projects) e Liliana Moro (6-30.000 euro da Francesco Pantaleone), che saranno esposti nel Padiglione Italia, sono presenti in tante collezioni private italiane, per esempio Enrico David in quella di De Iorio, mentre due collage di Chiara Fumai sono tra le ultime acquisizioni di Emilio Bordoli, che li ha comprati a 3.000 euro l’uno alla fiera Untitled a Miami lo scorso dicembre. Ludovica Carbotta sarà impegnata in un progetto speciale a Forte Marghera con due nuovi capitoli della sua città immaginaria “Monowe”, abitata da una sola persona. Rappresentata dalla spagnola Marta Cervera dal 2016, è ora in mostra alla Fondazione Sandretto Re Rebaudengo di Torino, dov’è anche in collezione (prezzi 2.500-25.000 euro).

Forse più occasioni di scoperta si avranno nei padiglioni nazionali. In quello estone saranno esposte le opere di Kris Lemsalu, classe 1985, che troveremo ad Art Basel Feature con la galleria Temnikova & Kasela insieme all’argentina Ad Minoliti, classe 1980, con la galleria Crèvecoeur. Nel padiglione australiano ci sarà Angelica Mesiti (ora al Palais de Tokyo) con una nuova video installazione sul linguaggio, la musica e la traduzione. Rappresentata da Anne Schwartz in Australia e Galerie Allen a Parigi, è collezionata da musei australiani e francesi (prezzi 6-76.000 euro circa). Driant Zeneli, classe 1983, è il rappresentante dell’Albania con un video sulle miniere di cromo di Bulqize, risorsa per lo sviluppo del paese ma anche motivo di conflitti. Rappresentato da Prometeo Gallery, è nella collezione della GAM di Torino (2.500-40.000 euro). Galleria italiana anche dietro all’artista della Ex-Jugoslavia, Igor Grubic, rappresentato da Laveronica di Modica. Presenterà un lavoro durato 13 anni sulla realtà croata e il passaggio dal socialismo al capitalismo. È già in collezioni museali come la Tate (prezzi 5-35.000 euro). Video e science fiction per la Danimarca con Larissa Sansour, che racconta una storia ambientata a Betlemme all’indomani di un disastro ecologico. Il suo mercato, prima in Medio Oriente, ora è anche in Europa e Usa (prezzi 1.500-45.000 da Montoro 12 di Roma e Bruxelles). Nel padiglione polacco Roman Stanczak, un artista che a 27 anni, star dell’arte polacca, si è ritirato per tornare 16 anni dopo. Rappresentato da Galeria Stereo (prezzi 8-25.000 euro), mostrerà una scultura monumentale fatta con un private jet “rivoltato” come un calzino.

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