Una buona conclusione, che non deve far abbassare la guardia. La decisione di escludere la casa editrice filofascista la cui partecipazione (non su invito) al Salone di Torino, è stata presa grazie a una lunga e delicata mediazione che ha visto convergere gli sforzi di tutti coloro che hanno a cuore i valori della cultura e quelli della (fragile) democrazia italiana.
Un risultato impossibile senza le proteste levatesi in questi giorni sia da parte chi aveva deciso di disertare il Salone, sia da parte di chi – convinto che i valori della democrazia si difendano anche non lasciando il campo ai suoi nemici – aveva rivendicato l'importanza della partecipazione e deplorato con altrettanta forza le presenze nocive.
È una vittoria di tutti coloro che si riconoscono nei valori della libertà nella sua declinazione storica e civile italiana. Ma non è una vittoria definitiva. La decisione di chiudere uno dei tanti stand a pagamento del Salone non segna la fine di tutti i mali. È però una tappa importante, soprattutto perché mostra quanto valgano la protesta non meno che la paziente tessitura di una trama civile slabbrata, che richiede un paziente, pacifico e intelligente lavoro di ricucitura.
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