È un Giro d'Italia strano, a trazione nordista, quello che parte sabato 11 maggio da Bologna con la crono di San Luca (8,5 km) e si conclude a Verona domenica 2 giugno con un altra prova contro il tempo lievemente più lunga (17 km).
Un Giro non dimezzato, ma quasi. Mancano le isole, quasi tutto il Sud (in Puglia il punto più basso) e anche le grandi città come Milano e Roma, Torino, Genova, Firenze, Napoli e via decrescendo.
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Non è una scelta “politica”, anche se qualche mugugno c'è stato. Ma una scelta più mirata al suo naturale bacino d’attrazione:
la provincia italiana, quel territorio poco “narrato” dai media che è il serbatoio naturale del ciclismo.
Uno zoccolo duro che porta sulle strade del Giro circa 8 milioni di fedelissimi. Un pubblico incurante della pioggia e del
sole nonostante una diretta televisiva che copre quasi tutto l’evento, seguito in tutto il mondo da oltre 700 milioni di spettatori
di 192 Paesi.
Zone di forte richiamo turistico, soprattutto quelle di montagna, dove ha ancora un senso ospitare l’arrivo e la partenza di una tappa. I costi sono variabili: da 70mila a 100mila euro una partenza; per un arrivo invece si sale fino a duecentomila. Poi ci sono le eccezioni: l’anno scorso per l'avvio da Israele furono incassati circa 6 milioni. Una scelta coraggiosa che, per il rischio di incidenti e attentati, fece lievitare i costi. Sempre nel 2018, per il gran finale finale a Roma, il Campidoglio sborsò circa 400mila euro, non proprio bruscolini.
Quando si parla di Giro d'Italia viene sempre automatico il confronto con il Tour de France, il benchmark più prestigioso, dove le tariffe sono più standardizzate con un costo fisso di 100mila euro per le partenze e 210mila per l’arrivo. Se poi si vuole fare le cose in grande, cioè ospitare sia un arrivo sia una partenza il giorno dopo, c'è anche lo sconto come al supermercato.
Soldi ben spesi? Di sicuro il ritorno di immagine è garantito, soprattutto grazie alle riprese tv diffuse in tutto il mondo: pensate al Monte Bianco e a Courmayeur; alla Valtellina e al Mortirolo. Ai passaggi In Trentino a San Martino di Castrozza e in Alto Adige ad Anterselva in Val Pusteria. Zone di rara bellezza. Ma pensiamo anche a città d’arte e di cultura come Verona, Bologna, Ravenna, Pesaro. Luoghi straordinari, come il lago di Como, che in diretta tv entrano nelle case di tutto il mondo.
Anche all’Aquila, per il decennale del terremoto, passa il Giro. «Per noi è una grande occasione», spiega Celso Cioni direttore per 25 anni di Confcommercio. «Tutti potranno ammirare come è stato rifatto il centro storico della città. Un piccolo gioiello che sta riprendendo vita, ma ha bisogno della spinta anche del Giro. Anche per ricordare le molto cose che sono ancora da fare».
Il Giro è anche un bel giro di soldi. Ci sono quelli degli sponsor che nel 2018 hanno portato in cassa 14 milioni di euro. E quelli dei diritti televisivi, che sempre nel 2108 hanno garantito 25 milioni.
Difficile dire quanto sia il fatturato complessivo di una manifestazione come il Giro d’Italia. Dipende da tante variabili.
Negli ultimi anni è salito intorno ai 70 milioni. Sempre poco rispetto al Tour de France, che con i suoi 150 milioni resta un gigante anche nel fatturato. Non a caso, tra le grandi manifestazioni, viene subito dopo le Olimpiadi e i mondiali
di calcio.
A proposito di soldi, la squadra più costosa è la Ineos, la nuova Sky. Pur senza Froome, che punterà al Tour, al Giro parte con corridori giovani e rampanti come il russo Pavel Sikov e l’inglese Geoghegan Har. Il suo budget è di 40 milioni, un record. Le altre squadre a scalare, ma la media si aggira sui 20 milioni.
Anche se “dimezzato”, è un Giro comunque ambizioso e senza quei complicati sconfinamenti all'estero che rendono più pesante la macchina organizzativa. Un Giro più semplice anche per i corridori. Che avranno comunque tanta strada da fare e, soprattutto, tante salite da affrontare. Le tappe sono 21 per un totale di 3578 km con tre cronometro di 59,8 km complessivi. Tanti anche i metri di dislivello (47mila) con cinque importanti arrivi in salita tutti collocati nell'ultima parte della corsa.
In pratica, si comincia a far sul serio dalla 9° tappa, cioè dalla cronometro di San Marino (17 km), una frazione contro il tempo che vale più di un arrivo in salita. Qui si delineano già i favoriti alla maglia rosa, quei big che cominceranno a darsi battaglia dalla 13esima tappa del Gran Paradiso (Pinerolo- Ceresole Reale) fino al tappone di Croce D'Aune che precede la crono di Verona. Un Giro di non facile lettura. Mancando l’ultima maglia rosa (Chris Froome) la pole è di 4 corridori. Il primo è l'olandese Tom Dumoulin, 29 anni, secondo nel 2108 e primo nel 2017. A cronometro è fortissimo, in salita tiene come pochi.
Il secondo favorito è Simon Yates, 13 giorni in rosa l'anno scorso, prima di affondare al Colle delle Finestre per l’attacco di Froome. Il britannico ha 26 anni, è vulnerabile a cronometro, però è fortissimo in salita. Come è molto forte lo sloveno Promoz Roglic, 29 anni. Ha già vinto alla Tirreno Adriatico e al Giro di Normandia. È anche molto dotato a cronometro. Si candida alla prima maglia rosa. L'unico neo: è già troppo in forma per una corsa di 3 settimane.
Ultimo, ma non ultimo, anzi, il nostro Vincenzo Nibali. Lo Squalo ha 34 anni. Forse è la sua ultima occasione. Ha già vinto due volte (2013-2016) e altre tre è salito sul podio. I concorrenti sono più giovani, ma solo lui ha anche vinto un Tour (2014) e una Vuelta (2010). Di sicuro ci proverà. Arrivando a tre Giri, raggiungerebbe Giovanni Brunero, Gino Bartali, Fiorenzo Magni e Felice Gimondi. Una bella compagnia.
Dietro a Nibali, in chiave nazionale, si fa avanti Davide Formolo, 26 anni, secondo alla ultima Liegi-Bastogne-Liegi. Il veronese è il nuovo che avanza (almeno si spera). Una certezza è lo sprinter Elia Viviani. Campione italiano e olimpionico in pista, il veneto torna al Giro dopo i 4 successi e la maglia ciclamino del 2018. Promette battaglia. Il suo rivale è il colombiano Fernando Gaviria, un altro che vola quando vede il traguardo.
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