È la svolta di Francesco nella guerra, ancora senza fine, contro gli abusi sessuali e le violenze nella Chiesa. Un Motu Proprio dal titolo “Vos estis lux mundi” dove il Papa stabilisce un principio fino ad oggi sconosciuto: l’obbligo di denuncia (interno) di violenze. Non solo: vescovi e superiori religiosi dovranno rendere conto del loro operato. Inoltre ogni diocesi dovrà dotarsi di un sistema facilmente accessibile al pubblico per ricevere le segnalazioni.
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Un documento che arriva al termine di un lunghissimo percorso di norme e comitati, di rimozioni e di processi, avviato seriamente da Benedetto XVI e intensificato da Francesco, che aveva insediato una commissione poco dopo l’elezione. Ma evidentemente una accelerazione si è vista dopo i fatti clamorosi rivelati in un rapporto-shock della Pennsylvania in agosto: pochi giorni dopo il Papa ha convocato un summit con i capi di tutte le conferenze episcopali del mondo, svoltosi lo scorso febbraio.
Da quell'incontro mondiale sono scaturite riflessioni e indicazioni, che hanno fatto da base al Motu Proprio, dove il Papa ricorda che i «crimini di abuso sessuale offendono Nostro Signore, causano danni fisici, psicologici e spirituali alle vittime e ledono la comunità dei fedeli», e menziona la particolare responsabilità che hanno i vescovi nel prevenire questi reati. Il documento ha particolare valore non solo perché affronta il flagello della pedofilia e fissa nuove e “vere” regole, ma anche perché rappresenta la risposta con i fatti agli attacchi strumentali rivolti al Papa nella seconda metà del 2018 da un piccolo gruppo di prelati (perlopiù vicini alla frangia ultraconservatrice americana) proprio sul tema pedofilia.
Come scatta l’obbligo di segnalazione
Una novità significativa – spiega Andrea Tornielli, direttore editoriale della Santa Sede, in un dettagliato articolo sul
sito ufficiale Vatican News - è l’obbligo per tutti i chierici, i religiosi e le religiose di «segnalare tempestivamente»
all’autorità ecclesiastica tutte le notizie di abusi di cui vengano a conoscenza come pure le eventuali omissioni e coperture
nella gestione dei casi di abusi. Se fino ad oggi quest’obbligo riguardava, in un certo senso, soltanto la coscienza individuale,
d’ora in poi diviene un precetto legale stabilito universalmente. L’obbligo in quanto tale viene sancito soltanto per i chierici
e i religiosi, ma anche tutti i laici possono, e sono incoraggiati a utilizzare il sistema per segnalare abusi e molestie
alla competente autorità ecclesiastica. Inoltre c’è l’obbligo, per tutte le diocesi del mondo di dotarsi entro giugno 2020
di «uno o più sistemi stabili e facilmente accessibili al pubblico per presentare segnalazioni» riguardanti gli abusi sessuali
commessi da chierici e religiosi, l’uso di materiale pedopornografico e la copertura degli stessi abusi.
La sanzione per le “coperture”. Non solo abusi su minori
Tra gli elementi di maggiore rilievo c’è poi l’individuazione, come categoria specifica, della cosiddetta condotta di copertura,
consistente in «azioni od omissioni dirette a interferire o ad eludere le indagini civili o le indagini canoniche, amministrative
o penali, nei confronti di un chierico o di un religioso in merito ai delitti» di abuso sessuale. Si tratta di coloro che,
investiti di posizioni di particolare responsabilità nella Chiesa – vescovi, superiori e altre figure analoghe - invece di
perseguire gli abusi commessi da altri, li hanno nascosti, proteggendo il presunto reo invece di tutelare le vittime. Il documento
comprende non soltanto le molestie e le violenze sui minori e degli adulti vulnerabili ma riguarda anche la violenza sessuale
e le molestie conseguenti all’abuso di autorità. Questo obbligo include anche qualsiasi caso di violenza sulle religiose da
parte di chierici, come pure il caso delle molestie a seminaristi o novizi maggiorenni.
Il rispetto delle leggi degli Stati e tutela per chi si fa avanti
L’obbligo di segnalazione all’ordinario del luogo o al superiore religioso, non interferisce né modifica qualsiasi altro obbligo
di denuncia eventualmente esistente nelle leggi dei rispettivi Paesi: le norme infatti «si applicano senza pregiudizio dei
diritti e degli obblighi stabiliti in ogni luogo dalle leggi statali, particolarmente quelli riguardanti obblighi di segnalazione
alle autorità civili competenti». Inoltre è prevista la tutela per chi si fa avanti per fare la segnalazione. Coloro che riferiscono
notizie di abusi, secondo quanto previsto dal Motu proprio, non possono infatti essere sottoposti a «pregiudizi, ritorsioni
o discriminazioni» a motivo di quanto hanno segnalato (anche nella legislazione italiana c’è una norma di questo tipo per
i pubblici funzionari). Un’attenzione anche al problema delle vittime che in passato sono state ridotte al silenzio: queste
norme universali prevedono che «non può essere» loro «imposto alcun vincolo di silenzio riguardo al contenuto» della segnalazione.
Ovviamente il segreto confessionale rimane assoluto e inviolabile e dunque non viene in alcun modo toccato da questa normativa.
Le indagini a carico dei vescovi. Il ruolo del metropolita
Il Motu proprio disciplina le indagini a carico dei vescovi, dei cardinali, dei superiori religiosi e di quanti abbiano a
vario titolo e anche solo temporaneamente, la guida di una diocesi o di un’altra Chiesa particolare. Questa disciplina - rileva
ancora Vatican News - sarà da osservare non solo se queste persone sono indagate per abusi sessuali compiuti direttamente,
ma anche quando vengono denunciati di avere «coperto» o di non avere voluto perseguire abusi di cui sono venuti a conoscenza,
e che spettava loro contrastare. Importante il coinvolgimento nell’investigazione previa dell’arcivescovo metropolita (che
presiede cioè una provincia ecclesiastica, composta anche di diocesi “suffraganee”, ndr) che riceve dalla Santa Sede il mandato
per investigare nel caso che la persona denunciata sia un vescovo. Il suo ruolo, tradizionale nella Chiesa, ne esce rafforzato
e attesta la volontà di valorizzare le risorse locali anche per le questioni riguardanti le indagini sui vescovi. Colui che
è incaricato di investigare dopo trenta giorni trasmette alla Santa Sede «un’informativa sullo stato delle indagini», che
«devono essere concluse entro il termine di novanta giorni» (sono possibili proroghe per «giusti motivi»). Ciò stabilisce
tempi certi e per la prima volta viene richiesto che i Dicasteri interessati agiscano con tempestività.
Presunzione di innocenza e conclusione dell’indagine
Viene ribadito il principio della presunzione di innocenza della persona indagata, che sarà avvisata dell’esistenza dell’investigazione
stessa quando ciò sia richiesto dal Dicastero competente. L’accusa deve infatti essere notificata obbligatoriamente solo in
presenza dell’apertura di un procedimento formale e, se ritenuto opportuno per assicurare l’integrità dell’indagine o delle
prove, può essere omessa nella fase preliminare. A conclusione dell’indagine il metropolita (o in determinati casi il vescovo
della diocesi suffraganea con maggiore anzianità di nomina) inoltra le risultanze al Dicastero vaticano competente e cessa
così il suo compito. Il Dicastero competente procede quindi «a norma del diritto secondo quanto previsto per il caso specifico»,
agendo dunque sulla base delle norme canoniche già esistenti. Sulla base delle risultanze dell’investigazione previa, la Santa
Sede può immediatamente imporre delle misure preventive e restrittive alla persona indagata.
Ouellet, prefetto dei vescovi: «Risposta al fenomeno globale»
«L’esperienza dolorosa vissuta negli ultimi anni ha insegnato molto e certamente questo Motu proprio ne tiene conto. Vorrei
però sottolineare – ha detto il cardinale Marc Ouellet, prefetto della Congregazione per i Vescovi, in un’intervista a Vatican
News - la sua valenza universale: sarebbe sbagliato considerarlo una risposta provocata da questo o quel caso. Il fenomeno
è globale e la risposta deve essere universale e, come dice il Papa, concreta. Il Papa l’ha voluta ed è stata studiata e costruita
con l’aiuto e l’assistenza dei suoi collaboratori nella Curia, sentendo la voce dei partecipanti all’incontro di febbraio
e di diverse diocesi. È stato un progetto portato avanti con spirito di collaborazione».
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