È una cifra impressionante. Di poco inferiore al fatturato annuo del colosso della distribuzione Esselunga. E paragonabile alla capitalizzazione di Borsa di una big della farmaceutica come Recordati o della prima assicurazione italiana nel danni, UnipolSai. Ammonta a 7,2 miliardi il fabbisogno di investimenti del settore idrico italiano per garantire, nei prossimi anni, un approvvigionamento sicuro di acqua potabile, in particolare alla luce dei fenomeni climatici sempre più estremi, come siccità e alluvioni, che colpiscono anche il nostro Paese.
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È questa l’indicazione che emerge da un’indagine realizzata da Utilitalia, la Federazione delle imprese idriche, ambientali ed energetiche italiane, che sarà presentata oggi al «Festival dell’Acqua» di Bressanone.
I cambiamenti climatici sono ormai evidenti, come documentato anche dall’inchiesta pubblicata dal Sole 24 Ore del Lunedì il 25 marzo, prima tappa del Progetto 2019 sulla qualità della vita. Nel 2017, in Italia, le precipitazioni cumulate annuali sono state complessivamente inferiori alla media 1961-1990 del 22% circa, a fronte tuttavia di 17 eventi alluvionali che hanno causato danni superiori ai 700 milioni di euro. A ciò si aggiunge uno stato di salute del sistema idrico tutt’altro che ottimale, anche perché il nostro Paese – secondo gli esperti – può essere classificato a “stress elevato” dato che preleva il 30% circa delle sue risorse rinnovabili di acqua.
Inoltre, le reti idriche tricolori hanno una perdita media del 41 per cento. In altri termini, vanno persi 41 litri d'acqua ogni 100 immessi nella rete. Il tasso di rinnovo nazionale delle condotte è dello 0,38%: per sostituire l’intera rete italiana servirebbero oltre 250 anni. Inoltre, nonostante gli investimenti nelle infrastrutture idriche abbiano imboccato un trend di forte crescita, restano ben al di sotto di quelli dei principali partner europei: in Italia sono pari a 40 euro l’anno procapite contro i 94 della media nel Vecchio Continente.
In questo scenario va inquadrata l’analisi di Utilitalia, che dal 2017 ad oggi ha avviato una consultazione con cui ha interpellato 43 imprese del settore idrico (che servono oltre il 54% della popolazione nazionale) per capire qualità e quantità degli investimenti necessari per migliorare la cosiddetta resilienza del sistema.
«Siccità e alluvioni non possono più essere considerati avvenimenti eccezionali ma eventi dalla ricorrenza ciclica e dunque devono essere affrontati con interventi e processi strutturali sostenibili nel lungo periodo», sottolinea al proposito il presidente di Utilialia, Giovanni Valotti, che evidenzia la necessità di un «massiccio piano di investimenti».
L’ammontare complesivo è, appunto, 7,2 miliardi, di cui quasi 4 nel Sud e nelle isole, oltre 1,3 al Nord e 1,9 nel Centro Italia. Lo spaccato settoriale, invece, vede una parte preponderante di investimenti nel “trasporto e distribuzione” (con 5,4 miliardi, che comprendono principalmente nuovi collegamenti idrici e riduzione delle perdite di rete) e nella “captazione” (1,4 miliardi per la creazione di nuovi invasi, dissalatori e nuovi approvvigionamenti idropotabili).
Senza tenere conto, peraltro, degli interventi che sarebbero necessari per potabilizzazione, fognatura e depurazione.
È un libro dei sogni? Non proprio. Del fabbisogno totale di investimenti, pari a 7,2 miliardi, il 73% è già previsto dagli attuali «Piani di ambito» e si concentra principalmente nei collegamenti idrici e nella riduzione delle dispersioni, mentre gli esperti di Utilitalia rilevano una sostanziale assenza di somme destinate al riuso delle acque reflue.
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